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Ai liberisti dico: battiamoci contro l’estremismo ecologista

Ringrazio il dottor Massimo Brambilla per l’attenzione prestata al mio intervento su questa testata in cui sostenevo l’opportunità – in una fase ormai prolungata della congiuntura economica nazionale in cui si rischia il declino strutturale di settori trainanti della nostra industria (dall’auto all’acciaio) – che sia il capitale pubblico ad assolvere, nel pieno rispetto delle logiche di mercato e sperabilmente in joint-venture con investitori privati italiani ed esteri, una funzione propulsiva finalizzata alla rigenerazione (competitiva) di determinati comparti; e in tale prospettiva indicavo la Cassa Depositi e Prestiti e i suoi due fondi – per gli investimenti strategici nelle aziende maggiori e per quelli nelle Pmi – come un possibile strumento da utilizzare.
 
Rassicuro subito il mio interlocutore che non sono animato da una visione ideologicamente etatist dello sviluppo industriale del Paese, pur se vorrei ricordargli che l’Italia è divenuta grande potenza industriale – ora purtroppo scesa all’8° posto del mondo – anche (ripeto, anche) grazie all’Iri, all’Eni, ad Oscar Sinigaglia, ad Enrico Mattei e ad altri manager di aziende e gruppi pubblici che hanno concorso, fra l’altro, allo sviluppo di una moderna siderurgia degli acciai di massa e ad una politica petrolifera nazionale di grande respiro.
 
Il dottor Brambilla dice che, invece, bisognerebbe solo creare le condizioni – e rimuovere gli ostacoli – per consentire alle aziende italiane di qualunque dimensione di competere e affermarsi su tutti i mercati. E come non essere d’accordo con lui? Ma crede forse che le imprese a controllo pubblico (quotate in Borsa e iscritte a Confindustria) non abbiano in Italia gli stessi problemi e non subiscano gli stessi (drammatici) vincoli di quelle private?
 
A titolo puramente esemplificativo vorrei ricordare quanto hanno dovuto lottare – sì, credo che sia il verbo giusto – l’Enel a Porto Tolle per ottenere il via alla riconversione a carbone della sua centrale, la stessa l’Enel a Porto Empedocle per ottenere tutte le autorizzazioni alla costruzione del rigassificatore, e l’Eni Refining & Marketing per un suo nuovo investimento nell’area di Taranto, dove vorrebbe incrementare le capacità di stoccaggio accanto alla raffineria in cui arriva già il petrolio estratto in Basilicata in Val d’Agri e dove dovrebbe – il condizionale è d’obbligo – giungere anche quello che sarà estratto sempre in Basilicata, ma a Tempa Rossa.
 
E sono, si badi bene, investimenti strategici per l’Italia. L’estremismo ecologista – contro il quale andrebbe condotta, a mio avviso, una grande, sistematica, intensa battaglia politica e culturale a Taranto come a Brindisi e altrove – sta rallentando in tutti i modi gli investimenti appena ricordati, rischiando di bloccare così la crescita del Paese; contro questo rischio dovrebbero allearsi sempre di più aziende pubbliche e private che, tuttavia, al momento, al di là dell’impegno della stessa Confindustria, sembrano marciare ognuna per proprio conto là dove impegnate a risolvere i rispettivi problemi.
 
Alla Cassa Depositi e Prestiti peraltro si stanno vendendo, com’è noto, Sace e altre aziende cedute da Istituzioni statali, mentre – e concludo – ricordo che nel decreto sulla spending review è stato approvato l’articolo che consente alla Banca Monte dei Paschi di Siena di emettere obbligazioni speciali a favore del Tesoro per garantire il rafforzamento patrimoniale della Banca come richiesto dall’Eba. Il Ministero dell’Economia potrà così acquistare obbligazioni sino a un massimo di 2 miliardi di euro, ovvero sino a 3,9 se si includono 1,9 miliardi di Tremonti Bond, emessi da Mps nel 2009, e che saranno rimborsati con l’emissione di nuovi titoli per pari importo. In questo caso nessuno ha qualcosa da eccepire su un intervento (di importo non irrilevante) dello Stato in favore di una banca quotata?
 
Federico Pirro
Università di Bari, Centro studi Confindustria Puglia
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