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Green economy. Ecco come finanziarla

Gregory Barker è ministro per l’Energia e i Cambiamenti climatici del governo britannico.
 
Esistono già dei forti legami fra aziende italiane e britanniche in tema di finanziamenti ed energia verdi. Per esempio, il Governo britannico collabora con la Falck Renewables Spa già dal 2000, anno in cui la Falck (che con i suoi 15 impianti è divenuta ora il secondo più grande operatore privato del Regno Unito nel settore dell’eolico) effettuò il suo primo investimento nel nostro Paese.
 
Più recentemente, UK Trade and Investment ha avviato una collaborazione con la VedoGreen per permettere alle aziende italiane presenti sul proprio portale di avere un accesso privilegiato al mercato britannico, mettendole in contatto con un numero elevato di investitori interessati all’internazionalizzazione delle aziende operanti nel settore ambientale.
 
(…) La crescita dell’industria verde e del settore delle tecnologie a bassa emissione di CO2 sono due temi prioritari nella politica del governo di coalizione britannico. È nostra ferma convinzione, infatti, che il settore delle tecnologie a bassa emissione di CO2 rappresenti una via valida verso la ripresa economica.
 
I tempi che stiamo vivendo sono ovviamente difficili dal punto di vista economico, eppure proprio queste difficoltà offrono numerose opportunità. Considerando la scarsa domanda e l’elevato tasso di disoccupazione attuali, i Paesi e le aziende dell’Unione Europea hanno l’opportunità di investire in maniera strategica nei settori verdi dell’economia.
 
Riportare in vita la nostra economia e trasformarla in un’economia verde non sono due obiettivi che si escludono a vicenda. Soluzioni “verdi” offrono maggiori opportunità di business: il piano ambientale è anche un piano di business. A livello globale, il valore delle aziende operanti nel settore dei beni e servizi ambientali ed a bassa emissione di CO2 è stato stimato attorno ai 4 mila miliardi di euro e si contano già oltre 1,4 milioni di aziende nei 50 Paesi maggiormente sviluppati nel settore.
 
Secondo la “Roadmap 2050” della Fondazione europea per il clima, se l’Europa riuscisse ad occupare e mantenere una posizione di leadership nelle energie pulite, l’aumento delle esportazioni potrebbe determinare un aumento del PIL europeo pari a circa 25 miliardi di euro l’anno fino al 2020.
 
È chiaro, tuttavia, che l’UE dovrà continuare ad essere innovativa e ad investire al fine di reggere la concorrenza, in particolare, dei mercati emergenti quali Brasile (attualmente, il Paese in cui si registra la più alta crescita in questo settore) e Cina (i cui progetti d’investimento in tecnologie a bassa emissione di CO2 sono veramente ambiziosi).
 
Per quel che riguarda l’economia verde nel Regno Unito, sono lieto di riscontrare la presenza qui, oggi, dei rappresentanti della Confederation of British Industry (CBI) (l’associazione britannica che rappresenta tutte le aziende, dal piccolo rivenditore al produttore d’acciaio) che condivideranno con noi le loro conoscenze su come dare massimo impulso all’economia verde.
 
In un recente rapporto sull’economia verde nel Regno Unito, la CBI ha riscontrato che in periodi di difficoltà economiche, l’industria ecologica britannica ha continuato a crescere in termini reali, ritagliandosi una quota di oltre 150 miliardi di euro all’interno del mercato globale; una crescita del genere si traduce, nella pratica, in investimenti e posti di lavoro. Le cifre più recenti, infatti, indicano che circa 940 mila persone sono state impiegate nel settore ecologico fra il 2010 ed il 2011. Unendo tutti i punti in maniera coerente e strategica, si potrebbe ottenere un importante risultato dal punto di vista economico, rilanciando l’economia britannica con una crescita di poco inferiore ai 25 miliardi di euro e determinando un aumento del bilancio commerciale pari a circa 1 miliardo di euro nel 2014/15.
 
Naturalmente, sappiamo anche bene che esistono numerose barriere da abbattere: ciascuno di noi deve affrontare difficoltà a livello nazionale ed è mio forte interesse, oggi, scoprire le speranze e le preoccupazioni delle aziende italiane ed europee.
 
Alcune delle difficoltà da affrontare sono comuni al Regno Unito ed agli altri Paesi europei: obiettivi di budget limitati, ricerca di urgenti strategie di crescita per sanare il deficit.
 
In una situazione talmente costretta dal punto di vista fiscale, lo sblocco degli investimenti del settore privato si dimostrerà essere assolutamente fondamentale ed il ruolo dei governi a sostegno di ciò è ben chiaro: normative e scelte politiche dovranno assicurare agli investitori ed al settore privato trasparenza, durata e sicurezza.
 
Nel Regno Unito, politiche ed istituzioni ruotano attorno ad una serie di strutture chiave ideate per fornire una politica chiara e per favorire gli investimenti in tecnologie a bassa emissione di CO2. Fra queste, ricordiamo:
– Il Climate Change Act, che stabilisce un piano a lungo termine per una riduzione delle emissioni pari all’80% entro il 2050 e fissa una serie di “budget” di emissioni carboniche vincolanti dal punto di vista legale;
 
– Il Green Deal, uno schema realmente rivoluzionario a sostegno di quei proprietari di case e terreni e di quegli affittuari che apportano migliorie energetiche al patrimonio immobiliare britannico;
 
– La riforma del mercato energetico, attuata per assicurarsi i circa 137 miliardi di euro d’investimenti necessari per soddisfare le necessità energetiche future in termini di produzione e trasmissione e fondamentali per il nostro progetto di decarbonizzazione del settore energetico. La riforma porterà alla creazione di circa 250.000 posti di lavoro;
 
– La Green Investment Bank che, con il suo capitale di quasi 4 miliardi di euro, giocherà un ruolo fondamentale nell’affrontare gli insuccessi di mercato ai danni dei progetti di infrastrutture ecologiche, il tutto al fine di favorire un aumento degli investimenti da parte del settore privato.
 
So bene che non esiste un’unica misura: ciascuno Stato europeo deve identificare le politiche ad esso più adeguate e tutti i Paesi hanno lezioni ed esperienze da condividere.
 
Allo stesso modo, una leadership ed una direzione chiara saranno necessarie, a livello europeo, per sostenere e guidare l’azione a livello nazionale ed assicurare un campo di gioco egualitario per tutte le aziende.
 
Il Regno Unito crede fermamente che l’aumento al 30% della percentuale di riduzione delle emissioni a livello europeo entro il 2020 determinerebbe le suddette leadership e sicurezza e apporterebbe importanti benefici economici e climatici.
 
Un obiettivo più ambizioso a livello europeo sarà il metodo più efficace dal punto di vista economico per ridurre le emissioni carboniche in linea con le forti riduzioni necessarie negli anni a venire;
– Ci aiuterà ad assicurare investimenti nelle energie pulite;
– Favorirà la crescita delle nostre industrie a bassa emissione di CO2, assicurando la competitività del Regno Unito e dell’Europa;
– Limiterà la nostra esposizione ai prezzi altamente variabili dei combustibili fossili.
 
Alcune ricerche condotte dalla Commissione Europea e, più di recente, dalla Bloomberg, hanno dimostrato che, in Europa, è possibile ipotizzare una riduzione pari al 30% (piuttosto che al 20%), particolarmente, alla luce delle minori emissioni legate alla crisi economica.
 
L’effetto di quest’ultima indica, inoltre, l’urgente necessità di potenziare il sistema per lo scambio delle quote di emissioni dell’UE (ETS), fondamentale strumento per la riduzione delle emissioni applicato ai settori energetico ed industriale a livello europeo.
 
Ciò che, al momento, si lamenta in merito all’ETS, è la sua inadeguatezza nell’inviare segnali abbastanza forti sui costi, al fine di incentivare gli investimenti in tecnologie a bassa emissione di CO2.
 
Ciò avviene in quanto la riduzione al di là del previsto delle emissioni ha determinato un notevole surplus di concessioni nel sistema che, a loro volta, hanno fatto precipitare il prezzo del carbonio fino ad oltre la metà rispetto al suo livello massimo.
 
Shell ed Enel sono con noi, oggi, per condividere il loro punto di vista su come risolvere le attuali problematiche individuate nell’ETS. Come ben noto, per poter risolvere l’eccessivo surplus, la Shell ed altre importanti aziende europee hanno richiesto una sospensione, prima, e la cancellazione, poi, delle concessioni.
 
Il Regno Unito è, inoltre, un forte sostenitore della riforma strutturale dell’ETS ed intende collaborare a fondo con altri Stati membri per esaminare le recenti proposte portate avanti dalla Commissione per risolvere le problematiche interne all’ETS.
 
Nella trepidante attesa del 2020, il Regno Unito si fa forte sostenitore della via indicata dalla Commissione Europea nella roadmap che individua i momenti chiave per la riduzione delle emissioni entro il 2050.
 
Continueremo a spingere per il formale riconoscimento di questo percorso e siamo certi che ciò assicurerà all’industria europea la certezza necessaria in merito alla direzione verso cui si muovono, a lungo termine, le nostre politiche climatiche.
 
È mio forte desiderio che Regno Unito, Italia ed altri importanti Stati membri collaborino per definire ed elaborare le misure pratiche da adottare, a medio e lungo termine, per dare vita ad un’economia europea realmente verde ed a bassa emissione di CO2.
 
I punti di vista dei rappresentanti dell’industria saranno fondamentali nel dare forma a questo periodo di transizione. Sarò ben lieto di rispondere alle vostre domande e di scoprire la prospettiva italiana su come meglio stimolare e guidare gli investimenti nel settore delle tecnologie a bassa emissione di CO2.
 
Questo testo fa parte dell’intervento del ministro britannico per l’Energia e i Cambiamenti climatici al convegno sulla crescita dell’economia verde tenuto oggi presso l’ambasciata britannica a Roma.
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