Esiste un rischio di desertificazione industriale nel nostro Paese? Si può parlare di un pericolo remoto o imminente di scomparsa di interi segmenti dell’apparato manifatturiero di quella che è ancora oggi la seconda potenza industriale dell’Unione Europea dopo la Germania ?
Alcune vicende recenti – la dismissione dell’Alcoa, l’intervento della Magistratura sull’Ilva a Taranto per imporne la bonifica, sospendendone la produzione e la dichiarazione di superamento del piano Fabbrica Italia della Fiat – indurrebbero a rispondere di sì: questo rischio esiste concretamente, e se anche solo per l’Alcoa si può parlare al momento di abbandono ‘programmato’ degli impianti, mentre gli stabilimenti della Fiat e dell’Ilva sono in esercizio sia pure fra cassa integrazione e sequestro dell’area a caldo, tuttavia si sta profilando sempre più minaccioso il rischio che vengano meno le ‘convenienze’ ad investire nel Paese, o a restarvi per chi già vi è localizzato.
Per la verità alcune di quelle convenienze sono inesistenti da anni, a causa dell’elevato costo dell’energia, di una burocrazia spesso lenta e macchinosa, di un costo del denaro più oneroso che altrove, della carenza di certe infrastrutture, soprattutto in talune zone del Paese. Non ho citato volutamente l’art.18 dello Statuto dei lavoratori perché non credo – e non per una sorta di criptoperaismo – che le aziende e in particolare le grandi ne abbiano sofferto per i loro investimenti, quando i loro principali problemi (a volte irresolubili) sono quelli sopra richiamati.
In Puglia – solo per fare un esempio – nell’ultimo quindicennio si sono attratti top player mondiali nei rispettivi comparti come Bosch, Getrag, Edison, Evergreen, Eds, Alenia, Sorgenia, Marcegaglia, etc. con loro nuovi siti produttivi, mentre altri Gruppi hanno investito su loro stabilimenti già esistenti grazie in buona misura ai contratti di programma cofinanziati dalla Regione, senza che l’art.18 abbia rappresentato un ostacolo specifico all’incremento delle loro capacità.
Che fare allora ? Si intervenga subito a livello governativo con gli strumenti (oggi) a disposizione per conoscere le scelte e i programmi nel nostro Paese delle grandi holding prima ricordate, ben sapendo tuttavia che nello scenario della globalizzazione gli investimenti si vanno a localizzare là dove esistono le condizioni migliori per valorizzarli. Si intervenga inoltre in ambito UE – ove efficacemente sta operando il Commissario Antonio Tajani, impegnato nel varo del piano per l’industria siderurgica che potrebbe riguardare anche il grande complesso dell’Ilva di Taranto – perché è sul piano comunitario che possono assumersi decisioni in grado di focalizzare le dinamiche dei mercati mondiali, difendendo (ma solo in logiche di assoluta competitività) la manifattura europea, o almeno quelle sue sezioni che si ritenesse opportuno salvare.
In Italia, con un lavoro di largo respiro – ma sarà mai possibile in un Paese che vive ormai appiattito su dibattiti che si bruciano di giorno in giorno ? – si provi a mettere a punto le linee di un grande progetto per l’industria al 2020, nei suoi settori trainanti senza dimenticare fra l’altro che oggi aziende a controllo pubblico (ma quotate in borsa) sono la prima (l’Eni), la terza (l’Enel) e la quinta (la Finmeccanica) nella graduatoria delle maggiori società per fatturato: il che significa che il ruolo dello Stato azionista in settori strategici è ancora (e fortunatamente) elevato e che tale può restare, potenziando anzi le sue funzioni, là dove si rendesse necessario, in joint-venture con capitali privati italiani ed esteri.
Un ruolo fondamentale in tale direzione dovrebbe continuare a svolgere la Cassa Depositi e prestiti con i suoi due Fondi di partecipazione, per gli interventi strategici e per le Pmi, mentre sarebbe opportuno che il nuovo Parlamento tornasse a grandi elaborazioni programmatiche. Un esempio per tutti ? Il Programma economico nazionale 1965-1971, l’unico mai approvato nell’Italia del dopoguerra e rimasto inattuato.
Federico Pirro – Università di Bari – Consigliere di amministrazione della Svimez