Franco Vimercati
Venezia, Palazzo Fortuny
dal 1° settembre al 19 novembre
La mostra personale dedicata a Franco Vimercati (1940-2001), a cura di Elio Grazioli, con il progetto di allestimento di Daniela Ferretti, è senz’altro la più esaustiva dedicata a questo artista, che aveva trovato nella fotografia il suo mezzo espressivo d’elezione e copre il periodo dagli anni Settanta fino alla sua morte, avvenuta nel 2001.
Vimercati, dopo gli studi all’Accademia di Brera, si avvicina al mondo dell’arte che negli anni Sessanta ruotava attorno alle gallerie milanesi e al bar Jamaica. Ben presto si rende conto che nella fotografia si concentra non solo il suo interesse ma anche il suo mezzo favorito di espressione. Conosce presto il lavoro di autori quali Diane Arbus, Lee Friedlander, Robert Frank e soprattutto August Sander.
Come quest’ultimo, Vimercati è un contemplativo, non interessato all’azione come tale, amando concentrarsi su un unico soggetto, facendo proprie le esperienze concettuali e minimaliste. Fin dall’inizio emerge l’idea di serialità, da qui già nel 1975 le immagini di piastrelle e due anni dopo quelle delle doghe del parquet, fino al grande lavoro delle 36 fotografie di bottiglie di acqua minerale Levissima. Trentasei scatti uno diverso dall’altro, tutti in bianco e nero.
Questo interesse si esprime in seguito in quello che è considerato il suo lavoro più rappresentativo, il ciclo delle terrine di porcellana. Una ottantina di fotografie in un arco di tempo a partire dal 1983 finendo nel 1992. Decide quindi di lavorare sulle variazioni come in musica. Vimercati si esprimeva attraverso la fotografia come artista e come uomo, lui e la sua opera erano la stessa cosa, come diceva lui stesso: “Io sono la lastra, ho bisogno di poca luce, di un sospiro, di un soffio di luce”.
I Papi della memoria
Roma, Castel Sant’Angelo
fino all’8 dicembre
Dal primo anno santo indetto da Bonifacio VIII nel 1300 all’ultimo, celebrato da Giovanni Paolo II nel 2002, sette secoli di storia dei pontefici rivivono a Castel Sant’Angelo nella grande mostra dal titolo I Papi della memoria, per la cura del Centro europeo per il turismo. Fino all’8 dicembre si possono ammirare dipinti, sculture, oggetti sacri, meraviglie di oreficeria, sia prestiti dei maggiori musei nazionali, sia opere recuperate dalle forze dell’ordine (Carabinieri tutela patrimonio, Guardia di finanza, Polizia di Stato) nella loro lotta al mercato clandestino.
Negli spazi del monumento romano, strettamente legato alle vicende del papato, contenitore e contenuto per una volta si valorizzano a vicenda in questa carrellata di circa 130 capolavori che illustra il ruolo svolto dai pontefici per Roma e per l’intera cristianità nel campo della fede e dell’arte, della politica e della cultura. Tra i capolavori esposti, si possono ammirare un volto di Cristo attribuito a Beato Angelico, il ritratto di Sisto IV di Tiziano, il ritratto di Clemente VII di Sebastiano del Piombo, quello di Clemente IX Rospigliosi del Baciccio, un calice reliquario di Benvenuto Cellini, il busto reliquiario di San Rossore, recuperato dalla Guardia di finanza negli anni ‘70.
E proprio il prossimo 11 ottobre cadrà il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, una ricorrenza che la mostra intende celebrare con una serie di iniziative e con un convegno internazionale che, a novembre, servirà a mettere in luce la ricchezza spirituale lasciata da quell’incontro mondiale.
Magnificenze a tavola
Tivoli, Villa d’Este
fino al 4 novembre
È la prima mostra interamente dedicata all’arte del banchetto rinascimentale. Proprio in quell’epoca l’arte del convito italiano raggiunge l’apice, assumendo la supremazia sulla scena europea. Il banchetto, stupefacente apparato all’interno del quale confluivano molte diverse competenze per ottenere gli effetti più coinvolgenti, affidava allo “spettacolo” della tavola e ai suoi simboli il compito di rappresentare la grandezza del principe.
Curata da Marina Cogotti, direttore di Villa d’Este e June di Schino, studiosa di storia dell’alimentazione italiana, la rassegna non poteva trovare una sede migliore delle sale della Villa d’Este, uno dei monumenti più importanti del Rinascimento italiano, patrimonio dell’Unesco, per rievocare i fasti dei sontuosi convivi per principi, cardinali e signori dell’epoca, come Ippolito II d’Este che realizzò la Villa Tiburtina.
L’arte, la musica, il teatro, intervenivano appieno nel programma del convito, a cui contribuivano anche i grandi artisti con la loro opera, come Leonardo da Vinci, Tiziano, Giulio Romano e Benvenuto Cellini, che disegnarono splendide suppellettili per la tavola, allestirono meravigliose architetture effimere, o scelsero ceramiche e vasellame realizzato dai più grandi artisti dell’epoca.
Finalità principale del banchetto rinascimentale era quella di stupire gli ospiti, facendoli partecipi di un evento all’interno del quale l’aspetto gastronomico era solo una delle componenti, poiché tutto, dalla scenografia alla preziosità degli oggetti della tavola, dalle decorazioni allestite fino ai riferimenti ai miti e ai simboli più sentiti contribuiva a rendere i commensali spettatori ed attori di un evento complesso.
Dietro le quinte operava una complessa struttura organizzativa governata dall’inflessibile regia degli “scalchi” e degli altri officiali preposti a quello che veniva chiamato l’Officio di bocca, che sceglievano le vivande, i vini, gli intermezzi di musiche, canti e danze. Molte e diverse le tipologie delle opere in mostra per ricreare le atmosfere rinascimentali: dai trattati dei più famosi esperti dell’epoca, come il trinciante Vincenzo Cervio, o lo scalco Cristoforo da Messisbugo, al servizio del duca di Ferrara. Vasi da pompa, preziose ceramiche e raffinatissime posate fanno da contraltare a mestoli ed attrezzi da cucina. Con lo straordinario arazzo Il Convito di Giuseppe con i fratelli, proveniente dal Quirinale, in mostra anche preziose nature morte, disegni, tessuti dell’epoca, provenienti dai principali musei italiani, come il Bargello di Firenze, la Galleria estense e il Museo civico di Modena, il Museo degli argenti di Firenze, il Museo della natura morta di Poggio a Caiano.
Accanto, esempi di realizzazioni effimere destinate ai banchetti, come statue e trionfi di zucchero, salviette lavorate con preziose piegature secondo una tecnica ormai perduta, fino alla rappresentazione di una tavola imbandita, frutto di ricerche sulla trattatistica e sui documenti dell’epoca.