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Caro Giannino & Co., Fermiamo il declino dell’ultraliberismo

L’Italia è in preda a un preoccupante deterioramento del clima sociale e politico. Come è accaduto spesso, nel corso della storia, le crisi economiche prolungate compromettono la tenuta delle istituzioni e incattiviscono le relazioni umane.
La “semplificazione” della domanda politica degli elettori – vogliamo il pane, alla forca i ladri e gli affamatori del popolo – è quel che porta al trionfo del populismo becero e sincretista, a volte mascherato dalla faccia pulita di Cancelleri in Sicilia, altre volte dal volto meno rassicurante dei neo-nazisti greci.
 
A questa semplificazione, e al fallimento degli attuali partiti, noi non possiamo pensare di rispondere né con il mero business as usual, come qualche leader “stagionato” della Seconda Repubblica sogna di fare, né con un arroccamento identitario: dopo l’esperienza del governo tecnico guidato da Mario Monti, non torneremo all’assetto politico che abbiamo avuto dal 1994 ad oggi, ma alle spinte frazioniste e centrifughe bisogna opporre un sano progetto di rifondazione delle istituzioni e delle funzioni dello Stato, dei partiti politici e delle visioni programmatiche.
 
Il manifesto “Verso la Terza Repubblica” è considerato “liberista” da Rosi Bindi, che critica Andrea Olivero delle Acli per averlo firmato, mentre è considerato “non liberista” da chi avrebbe voluto che lo fosse, per firmarlo. Due torti si sommano. Il primo è di chi, volendo interpretare la realtà con le stantìe categorie del passato (capitale contro lavoro, ricchi contro poveri, libertà contro diritti), non coglie la sfida della contemporaneità, la drammatica necessità di riformare radicalmente il mercato del lavoro, il sistema del welfare, il fisco, le istituzioni repubblicane, il modello d’istruzione pubblica o la politica infrastrutturale su criteri di competitività, inclusione, innovazione, sussidiarietà e sostenibilità delle scelte pubbliche.
 
Il secondo torto è di chi – penso agli amici di Fermare il Declino, dei quali pure condivido le 10 proposte e la visione di futuro – non accetta che il “compromesso” non è necessariamente un gioco al ribasso, ma il salto di qualità necessario perché la rotta della nave Italia cambi davvero.
Le grandi democrazie occidentali sono “condannate” al pluralismo della società. L’errore fatale che una forza politica può compiere è quello di non accettare il pluralismo come dato di fatto: non esistono cittadini liberali o comunisti, esistono milioni di persone con istanze variegate, spesso configgenti e mutevoli. La “condanna” dei partiti e dei movimenti politici che si candidano a governare, che è obiettivo diverso dalla mera testimonianza delle proprie idee, è il governo della complessità.
 
Vorrei 100 miliardi di spesa pubblica in meno e 100 miliardi di meno tasse per tutti, ma so che l’Italia del 2014 e del 2015 starà molto meglio se solo riuscissimo a ridurre la tassazione di 20 miliardi e a riequilibrare, come pure il governo Monti ha iniziato a fare, il peso della tassazione dalle persone alle cose.
Con Zero+ ci battiamo per un pieno riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali, ma firmerei per avere nel Paese e in Parlamento una grande forza politica riformatrice e liberale che non abbia la pretesa di costringere i suoi elettori e i suoi esponenti in una camicia di forza monovaloriale, come tentò di fare grottescamente il PdL negli anni passati.
 
Un manifesto è pur sempre solo un manifesto. A leggere certi commenti nel dibattito che impazza in rete, pare che qualcuno si aspettasse non meno che il testo di una legge finanziaria. Per “forgiare” la tempra di un movimento politico ed elaborare un programma di governo (credibile e realizzabile e non solo attraente) la sfida è molto più complessa, ma anche più affascinante.
Sulle pagine di Formiche.net è nato un dibattito, con l´articolo del professor Benedetto Ippolito come apripista, spero che altri contributi seguano: il 17 novembre, il giorno in cui le migliaia di firmatari del manifesto si ritroveranno a Roma, inizieremo a mettere dei primi punti fermi.
 
C’è un caveat, comunque: di programma dettagliati e lunghissimi ne abbiamo avuti a bizzeffe, salvo poi vederli disattesi tutti. Personalmente sarei stato ancora meno prolifico degli estensori del Manifesto, mi sarei limitato a qualcosa di simile a questo:
“Ho parlato della città splendente per tutta la mia vita politica, ma non so se ho mai davvero comunicato quello che ho immaginato quando l´ho detto. Ma nella mia mente era una città alta fiera, costruita su rocce più forti degli oceani, battute dal vento, benedetta da Dio, e brulicante di gente di tutti i tipi che vivono in armonia e in pace, una città con porti liberi e brulicanti di commercio e creatività, e se ci dovevano essere mura, le mura avevano porte e le porte erano aperte a chiunque avesse la volontà e il cuore per entrarci. Ecco come l´ho visto e la vedo ancora”. (Ronald Reagan)


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