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Dopo la condanna di Gabriele spuntano i nomi di due porporati

Il tribunale vaticano ha stabilito la colpevolezza dell’ex maggiordomo del Papa, Paolo Gabriele, per il furto dei documenti riservati di Benedetto XVI, condannandolo a 18 mesi di reclusione, tenuto conto delle attenuanti. E´ quanto emerge dalla sentenza di condanna resa nota oggi dalla Sala stampa della Santa Sede. L´azione di Gabriele è “in realtà lesiva nell´ordinamento vaticano della persona del Pontefice, dei diritti della Santa Sede, di tutta la Chiesa cattolica e dello Stato della Città del Vaticano”, si legge.
 
Sui documenti trafugati, dalla sentenza emerge che a casa di Gabriele non sono state rinvenute solo copie, ma anche originali. E sul numero delle copie eseguite, i giudici specificano: “Le dichiarazioni dell’imputato presentano qualche contraddizione, per esempio laddove afferma di aver fatto solo due copie (quella data al Nuzzi e quella data al confessore), quando invece di molti documenti si è trovata anche una terza copia”. In ogni caso, per quanto riguarda i documenti “illecitamente sottratti, la confessione che si ricava dalle dichiarazioni rese dall’imputato sia in sede istruttoria che in sede dibattimentale trova conferma nelle testimonianze acquisite nel corso del dibattimento, oltre che negli altri elementi di prova acquisiti”.
 
La questione della grazia
 
La grazia è “possibile” ma “nessuno sa, né io ho da dire, quando, come, se e perché”, ha spiegato il portavoce vaticano, il gesuita Federico Lombardi. “È una possibilità, aspettiamo e vediamo”, ha osservato. La decisione non scatterà comunque prima dell´esaurimento del tempo a disposizione per la pubblica accusa, tra pochi giorni, di presentare appello. “Se adesso avviene una carcerazione è da prevedere che avvenga in Vaticano” e non in Italia. “Attualmente non c´è alcuna iniziativa per chiedere (che la detenzione avvenga) in Italia e anche se il trattato del Laterano lo prevede come possibilità, non c´è una convenzione per attuare tale possibilità”, ha proseguito Lombardi.
 
La cella del maggiordomo
 
Paolo Gabriele sarebbe detenuto presso una cella attrezzata nella caserma della gendarmeria vaticana. Nello stesso luogo, cioè, dove ha trascorso oltre cinquanta giorni in un periodo di detenzione preventiva, tra maggio e luglio, durante il quale, ha denunciato la sua legale nel dibattimento, ha anche subito trattamenti inumani. Una vicenda sulla quale, peraltro, la gendarmeria del comandante Domenico Giani ha respinto le accuse e il pm vaticano ha aperto un fascicolo.
 
Quando parte il secondo processo
 
Oggi, intanto, è stato annunciato che il prossimo 5 novembre ci sarà la prima udienza del secondo processo nel caso ´Vatileaks´, quello a carico di Claudio Sciarpelletti, tecnico informatico della segreteria di Stato, accusato di favoreggiamento. La sua posizione era stata stralciata dal primo processo, quello a carico del maggiordomo. Tra i testimoni che verranno chiamati a deporre, un monsignore della segreteria di Stato, Carlo Maria Polvani, nipote di quel monsignor Carlo Maria Viganò che, spedito dal governatorato vaticano alla nunziatura negli Usa, dette il via, con le sue denunce, al caso della fuga di documenti riservati. 
Ma, secondo quanto si legge nella sentenza di condanna pubblicata oggi, nella vicenda del maggiordomo del Papa spuntano i nomi di altri due cardinali.
 
I due nomi dei porporati
 
E’ Vatican Insider, il sito della Stampa specializzato sulla Santa Sede, a far riflettere su un punto. “Nella sentenza vengono spiegate le motivazioni del rigetto della richiesta della difesa di Gabriele, che voleva far convocare dalla Commissione cardinalizia due porporati: l’ex Prefetto di Propaganda Fide Ivan Dias, e l’ex teologo della Casa Pontificia Georges Cottier. Perché sarebbe stato interessante ascoltarli? Che cosa avrebbero dovuto raccontare?”.


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