E se tutto il cancan sui conti dell’Inps fosse un modo per evitare fastidiose riduzioni di spesa, aggirare la spending review, dimostrare che a tagliare gli statali c’è solo da perdere soldi? Ogni volta che riemerge il tema buco che l’Inpdap ha portato in dote all’Inps con la fusione, a Palazzo Chigi suonano almeno tre campanelli di allarme.
E’ successo anche in questi giorni quando l’attenzione dei media è tornata sulla cattiva eredità dell’Inpdap (l’ente dei dipendenti pubblici ha portato in dote al super Inps, 5,8 miliardi di passivo di esercizio e 10,2 miliardi di disavanzo) e i giornali hanno parlato di rischio tenuta per i conti della previdenza. Il governo tecnico ha risposto con una nota dai toni durissimi, che a molti ha ricordato la guerra degli esodati. Quando Elsa Fornero tirò le orecchie all’Inps di Antonio Mastrapasqua per avere diffuso una stima sui costi diversa rispetto a quella del ministero del Lavoro.
La tesi dell’esecutivo è che i conti della previdenza sono in equilibrio e che le pensioni sono al sicuro. Vero e scontato. Tocca allo Stato ripianare eventuali disavanzi previdenziali. Succede per il privato, figuriamoci per il pubblico.
A disturbare il governo, più che l’allarmismo sulle pensioni future degli italiani, sono altri aspetti legati alla denuncia che il comitato di vigilanza dell’Inps ripete da qualche mese. Intanto il fatto che sia emersa ancora una volta l’evasione contributiva dello Stato. Ci sono enti pubblici che in passato non hanno pagato o hanno pagato parzialmente le quote Inpdap. Notizia “per quanto dato di conoscere, del tutto infondata”, secondo Fornero e Vittorio Grilli. Più prudente Mastrapasqua: se ci fossero enti pubblici che evadono “verrebbero perseguiti e saranno trattati come i lavoratori privati”. Smentite a parte, l’idea di qualche ente pubblico che non versa i contributi stride con le campagne anti evasione del governo, ultimo l’invito del premier Mario Monti a essere po’ più di «intolleranti» nei confronti di chi non paga tasse.
E’ vero che quella dei contributi pubblici è partita di giro. Se lo Stato non versa il dovuto, alla fine toccherà comunque alla previdenza pubblica erogare le prestazioni ai suoi ex dipendenti. Ma è altrettanto vero – e questa è la seconda preoccupazione del governo – che in questa partita di giro scompare dai conti un pezzetto di debito pubblico. Il meccanismo l’ha spiegato Giuliano Cazzola, deputato Pdl esperto di previdenza: “Nel 1995 venne previsto, a copertura delle pensioni in essere, un trasferimento annuo di 14mila miliardi di lire, che, successivamente, venne trasformato in una anticipazione di Tesoreria, in euro. Così lo Stato, da debitore, divenne creditore dell’Inpdap”. Un saggio di finanza creativa che, di questi tempi, è meglio tenere sotto traccia, se non si vuole che a Bruxelles si accenda un riflettore su Roma.