Skip to main content

Lo strano caso del Prof. liberista ora tacciato di statalismo

 
Il debito italiano cresce meno di quello dell’area euro e la maggiore crescita del rapporto debito-Pil è da legare alla nostra pessima performance di crescita economica del PIL. Applicassimo ai dati italiani la maggiore crescita del debito europeo e la maggiore crescita economica europea, il nostro debito su Pil calerebbe rispetto a quello odierno. Invece sale, sale sale. A causa dell’austerità.
 
E’ ancora timido Fortis, parla di “sforzi fiscali eccessivi” a cui non dovremmo essere costretti, invece di dire apertamente che è necessario essere fiscalmente espansivi, anche per ottenere conti pubblici migliori. E’ timidissimo Fortis a non avventurarsi a proporre aumenti di spesa pubblica ma mere diminuzioni di tasse, che come ormai ben sappiamo hanno un potenziale molto minore di far riprendere il Pil che non quelli che ha, a parità di sforzo di bilancio, la spesa via appalti.
 
C’è chi dice che tutta questa enfasi sulla spesa pubblica mi fa uno statalista. Strana definizione per uno che fino a 3 anni fa era considerato uno strenuo liberista di destra dai suoi colleghi ora strenui liberisti.
 
Se pare difficile giustificare l’essere statalisti per gestire il ciclo economico, ancora più complesso appare difendere la causa della spesa pubblica nel lungo periodo. Allora proverò a farlo.
 
Ecco la mia visione. Il bilancio dello Stato è ricchissimo di risorse, 800 miliardi circa da una parte e dall’altra.
 
A sinistra, lato spese, ci sono gli usi dei soldi dei cittadini a favore di altri cittadini e delle imprese. Tutti i paesi hanno molti soldi da questo lato del bilancio. L’Italia ne ha molti su interessi e pensioni, molto meno sul resto. Quel resto impatta sul Pil in maniera diversissima a seconda della qualità della spesa. Un 80-100 miliardi sono sprecati. Vanno identificati. Ciò richiede competenze e istituzioni all’altezza (altro che la spending review di questo governo): e cioè investimento in risorse. Fatto ciò, ed è possibile farlo malgrado i corvi ed i pessimisti, si pone la questione di cosa fare con quei miliardi risparmiati.
 
Ridurre le tasse? No. Dobbiamo spenderli, con le competenze acquisite, per rifare la nostra scuola. La nostra università. Proteggere e esaltare il nostro patrimonio culturale. Combattere la mafia. Migliorare le cure dei nostri ospedali. Senza queste spese il nostro settore privato non sarà mai competitivo con le imprese di altri Paesi che tutte questi “beni pubblici” a supporto hanno.
 
Poi c’è il lato destro. Le entrate, che uccidono tanti e tanti altri non toccano. Se la spesa deve rimanere intatta, lo scopo di una riforma da questo lato del bilancio deve preoccuparsi, mantenendo la somma totale costante, di ripartirla equamente. Come? Permettendo la deduzione delle spese effettuate, e cioè senza bisogno di ulteriori giganteschi controlli ispettivi che mai permetterebbero l’ottenimento di cifre pari a quelle recuperabili. Una riforma epocale, non a caso mai permessa dai passati Parlamenti, il carico fiscale sui tartassati crollerebbe. Anche qui corvi e pessimisti vi diranno che non è possibile. Chissà perché.
 
E il debito? Ah già, il debito. Irrilevante, come direbbe Bisin (lui in realtà lo diceva della disoccupazione di questa congiuntura drammatica) di fermareildeclino.
Perché irrilevante? Perché uno Stato migliore e una pressione fiscale abbattuta genererebbero tanto di quel PIL da renderlo invisibile.
 
Ecco il mio progetto statalista. Al servizio delle imprese e del Paese.
 

×

Iscriviti alla newsletter