Non è una buona notizia per Taranto, la Puglia e l’Italia la rinuncia dell’Autorità portuale di Rotterdam a costituire una joint-venture con quella di Taranto, dopo il memorandum of understanding sottoscritto nei mesi scorsi per avviare un rapporto che tutti speravano ricco di grandi prospettive per lo scalo ionico.
Se, come dichiara il presidente del suo ente, Sergio Prete, hanno pesato soprattutto le incertezze della vicenda Ilva – ed io aggiungerei anche quelle connesse al possibile rinvio del progetto “Tempa Rossa” dell’Eni, finalizzato a potenziare stoccaggio e movimentazioni dalla raffineria tarantina – allora ci si dovrà interrogare a fondo in tutti gli ambienti tarantini (e non solo in essi) se i provvedimenti che si sono assunti nei confronti dell’area a caldo dell’Ilva “senza facoltà d’uso” siano i più idonei non solo a tutelare la salute di cittadini e lavoratori, come è giusto che debba essere, ma anche ad assicurare prospettive europee al porto della città, e ad alimentare speranze di nuova occupazione nei traffici marittimi. E’ appena il caso di ricordare, inoltre, che anche un certo numero di dipendenti della Tct-Evergreen Hutchison è in cig a rotazione e che i cantieri (ancora da aprirsi) per la piastra logistica non impiegheranno più di 200 o, al massimo, 300 unità.
E’ bene porsi tale domanda perché anche la notizia dei 621 esuberi a Teleperformance – la seconda azienda locale per numero di occupati – dovrebbe far riflettere tutte le autorità della città, nessuna esclusa: l’occupazione nel capoluogo rischierebbe un tracollo drammatico se (malauguratamente) l’area a caldo dell’Ilva fosse messa in condizione di rinunciare totalmente alla produzione. Non meno di 5.000 addetti diretti perderebbero il lavoro subito, mentre in prospettiva l’intero siderurgico rischierebbe la dismissione con conseguenze difficilmente prevedibili in tutta la loro portata, se è vero che anche a Rotterdam se ne preoccupano. Oggi, però, mentre altre aziende annunciano esuberi, l’Ilva ha comunicato invece che i 942 addetti all’Altoforno 1 (in fase di spegnimento) e agli impianti collegati saranno ricollocati nel ciclo produttivo, purché lo si garantisca: altrove si minaccia di licenziare, mentre all’Ilva – con una parte dello stabilimento sotto sequestro – si cerca invece di impiegare tutte le maestranze, finché possibile.
In provincia, poi, altre vertenze aziendali sono in corso da anni senza ancora soluzioni, dalla Miroglio (siamo a 45 mesi di cigs) alla Curvet, dalla Sural alla Nardelli. Allora, si aggiungeranno anche 5.000 operai dell’Ilva? I problemi dell’inquinamento e della salute di cittadini e lavoratori devono essere affrontati (e subito), ma senza radicalismi, ultimatum o perentorie ingiunzioni. La nuova Aia delinea percorsi e tempi cui l’azienda dovrà attenersi, se avrà le certezze normative e i mezzi finanziari necessari per gli interventi. In caso contrario, si aprirebbero scenari drammatici per la città cui a Rotterdam dedicheranno solo compassione.
Federico Pirro
(Università di Bari, Centro Studi Confindustria Puglia)