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Old economy in crisi? Tutta colpa della new economy…

Fallimento della new economy e successo della globalizzazione della old economy sono le due facce della stessa medaglia, che spiegano il perché della crisi economica e finanziaria che stiamo attraversando. Fermarsi alla constatazione della insostenibilità di una crescita americana finanziata a debito dal capitalismo cinese non è sufficiente: chiarisce come siamo arrivati alla crisi ma ne cela il perché. Attribuire la crisi americana all´aumento improvviso dei tassi di interesse interbancari, all´impennata del prezzo del petrolio, alle spese militari crescenti nel decennio precedente, significa limitarsi ad individuare i detonatori della crisi, che invece ha origini lontane.
 
Tutto nacque dalla teorizzazione di una new economy, basata sull´utilizzo di internet: doveva essere la nuova rivoluzione capitalistica che avrebbe potuto padroneggiare la progressiva dematerializzazione della creazione del valore economico, attraverso la rete. Bisogna tornare indietro, al momento in cui, in America, si ritenne che l’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche e di telecomunicazione, combinate insieme, potessero cambiare i parametri degli equilibri militari, basati sulla minaccia del reciproco annichilimento nucleare. Disponendo di innovative capacità di elaborazione dati e di trasmissione delle informazioni in tempo reale, prima neppure immaginabili, l´America avrebbe reso inutili i missili intercontinentali in grado di colpirla, perché con queste tecnologie avrebbe potuto intercettarli e neutralizzarli quando erano ancora in volo sul territorio di chi li aveva lanciati. Guerre stellari, Scudo spaziale, Arpanet: era un nuovo inizio. Per la prima volta al Pentagono i progetti di armamento si fondarono più sulle nuove tecnologie, basate sull´informatica e sulle telecomunicazioni, che non sullo spessore delle corazze delle navi o sulla potenza delle bombe. Questo approccio risultò vincente, sul piano propagandistico, politico e strategico.
 
 Collassata l´Unione sovietica e caduta la Cortina di ferro, per l´America si aprirono spazi di azione senza precedenti. In quel momento qualcuno addirittura arrivò ad affermare che, esistendo ormai una sola superpotenza globale, si era giunti alla fine della Storia. La nuova centralità americana, indiscussa dal punto di finanziario, militare e politico, si fondava su un progetto altrettanto ambizioso, in grado di innervare tutto il mondo. Mentre il sistema finanziario occidentale era in grado di padroneggiare l´allocazione delle risorse sul piano planetario, una new economy basata sulle nuove tecnologie Ict poteva ripetere il processo di industrializzazione, aprire un ciclo economico di lungo periodo, che comportava anche una nuova divisione internazionale del lavoro, integrando produttivamente il mondo ex comunista.
 
Si avviarono due processi contemporanei, pervasivi, esplosivi, incontrollabili e privi di regole: la creazione della new economy e la globalizzazione della old economy. Quest´ultima, che si fonda sulla manifattura tradizionale, poteva ben essere delocalizzata nei nuovi paesi capitalisti, anche in Cina: il basso costo del lavoro avrebbe ridotto di almeno un ordine di grandezza i prezzi correnti mentre la ricchezza prodotta dalla new economy sarebbe stata più che sufficiente in America ed in Europa non solo per mantenere il precedente tenore di vita, ma per accrescerlo.
 
Internet e la rete rappresentavano la nuova catena di montaggio, economica e sociale. Era la Information Society. Per fare spazio alla new economy servivano insieme liberalizzazioni, deregulation, privatizzazioni e globalizzazione. Per sviluppare i nuovi colossi era indispensabile aprire nuovi mercati alla old economy, verdi praterie in cui mandarla a pascolare: doveva sgombrare casa alla conquista di nuovi mercati, e soprattutto mandare a casa persone da reclutare per la nuova avventura. Così come avvenne con la guerra di Secessione che servì anche a liberare gli schiavi dalla coltivazione della terra: erano di gran lunga più utili nelle fabbriche. La guerra domestica ai monopoli, le battaglie per le liberalizzazioni, la sfida della globalizzazione sono servite a questo scopo. Indebolire e blandire un mondo retrogrado per affermare il nuovo.
 
L´America iniziò a vivere, senza apparenti problemi, di sopra delle proprie possibilità: debitore a breve, riteneva di essere alla lunga creditore verso il resto del mondo, perché padroneggiava sia i processi finanziari sia quelli tecnologici su cui si basa la new economy. Internet divenne un fenomeno pervasivo, anomico ed incontrollabile: identico nei connotati alla globalizzazione della old economy. Non solo le ricerche confermavano che la velocità di adozione delle nuove tecnologie basate sull´informatica e le telecomunicazioni avesse influito in modo determinante sulla crescita della produttività americana a partire dalla seconda metà degli anni novanta, ma era Silicon Valley a testimoniare che il mito si era fatto realtà, sociale ed imprenditoriale: Detroit e le sue fabbriche potevano finalmente arrugginire senza danni nel lungo periodo. Migliaia di giovani talenti, affascinati dalla nuova sfida, arrivarono in America: un nuovo, impressionante brain drain.
 
Il sistema finanziario usava la new economy per far saltare equilibri, convenzioni e metri di valutazione consolidati, delle imprese e del loro valore. Le borse si segmentarono: la old economy da una parte, la new economy -con la sua crescita esplosiva – dall´altra. I capitali di tutto il mondo correvano verso il nuovo Eldorado delle dotcom, le cui azioni crescevano in valore a cifre da capogiro. Anche in Italia, un internet service provider appena nato arrivò a capitalizzare in borsa più della nostra maggiore industria automobilistica. Nel 2000, le gare europee per la assegnazione delle licenze Umts segnarono l´apice della fase ascendente. I valori di borsa crollarono di lì a poco, quando si capì che non c’era ritorno economico a fronte degli immensi mezzi finanziari raccolti attraverso le IPO: il mestiere dell’internet service provider era semplicemente inesistente. Ci volle poco per capire che quello basato su internet era uno zero billion dollar business: una soluzione tecnologica travolgente, basata su un modello di business inesistente. I valori borsistici erano virtuali e si polverizzarono perché non c´era alcun razionale economico che li sostenesse.
 
Lo sviluppo di internet ha invece realizzato la più colossale operazione di collettivizzazione mai avvenuta su scala globale. Una rivoluzione che non è neppure passata per la fase intermedia del capitalismo di Stato. Era già percepito, sin dall’inizio, come un bene collettivo, come l´aria che respiriamo: indispensabile ma inappropriabile. L´immenso valore d´uso personale derivante dall´utilizzo della rete e dalla diffusione delle informazioni su internet sfuggiva di mano sia a chi inseriva le informazioni, sia a chi gestiva le reti. Sulla rete cominciò a girare di tutto, ma non scorreva il denaro, a ritroso, in cambio delle informazioni, dei contenuti, dei servizi ottenuti. In concreto, non creò plusvalore in quanto adespota. Non solo non era in grado di garantire lo sfruttamento economico dei contenuti messi in rete e dei servizi offerti, come la posta elettronica. Cannibalizzava i modelli di business tradizionali, senza crearne di nuovi.
 
La new economy realizzò un paradigma opposto a quello descritto dalla dinamica capitalistica shumpeteriana: non distruzione creatrice, ma costruzione distruttrice.
Quando scoppiò la bolla di internet, nel 2001, era troppo tardi per fermare il processo di globalizzazione della old economy. La decisione di aprire il Wto alla Cina era già presa, e si giustificava ancora, almeno con la malcelata funzione di ostruzione economica al processo di rafforzamento europeo che si stava completando con la nascita dell´Unione. Fu chiaro, sin da allora, che la new economy non avrebbe mai creato né in America, né altrove, i valori finanziari e la ricchezza economica sufficienti a rimpiazzare a breve gli effetti della globalizzazione.
 
Si cominciò a comprare tempo. Non si trattava solo di recuperare le perdite, si doveva cambiare strada. Ma era troppo tardi. Mentre l´Europa rallentava, l´America non si rassegnava: decise di diventare debitore anche nel lungo periodo. Risalgono a quel periodo le decisioni politiche clintoniane, di finanziare la crescita interna attraverso il motore immobiliare, con mutui concessi anche ai prenditori meno qualificati. Nacque così il popolo dei sub-prime: perché, come sempre, di debiti si vive e di crediti si muore. Il sistema finanziario dovette cominciare a compensare, ad ogni costo ed il più a lungo possibile, gli squilibri dell´economia reale portati dalla globalizzazione.
 
Fu allora che si cominciò a scommettere su chi sarebbe fallito o imploso, per primo: se il debitore o il creditore. Ma la Cina non ha commesso gli errori che anni prima avevano portato il Giappone al collasso. Alla fine l´economia reale ha preso il sopravvento sui processi virtuali, falliti uno dopo l´altro: sulla ricchezza che la new economy non è mai riuscita a creare e sulla finanza che cercava di spostare sempre più in avanti nel tempo la resa dei conti.


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