Leggendo l’articolo di Piercamillo Falasca, pubblicato su Formiche.net questa mattina, ho purtroppo avuto la conferma di quanto da tempo sospettavo. A gironzolare troppo dalle parti di Montecitorio, si finisce, presto o tardi, per parlare “politichese”.
Ora, io capisco bene che Falasca debba in qualche modo difendere la sua scelta di adesione a questo fantomatico “manifesto” per la Terza Repubblica e capisco anche la necessità di dare rilievo alle (buone) iniziative di Zero+, contenitore nato per consentire un suo riposizionamento nell’area moderata. Capisco tutto questo e non lo contesto.
Temo però che l’amico Falasca abbia preso diversi granchi nel rinfacciare ai sette fondatori di Fermare il Declino la mancata adesione. Andiamo con ordine. Ridotta all’osso, l’analisi è la seguente: non facciamo gli schizzinosi, mescoliamoci pure con Bonanni e le Acli, ciò che importa è che il gatto acchiappi i topi. Ed è proprio sulla presenza di questa volontà del gatto di acchiappare i topi che noi di Fermare il Declino abbiamo più di un dubbio. Almeno sin da quando ci è stato detto che non era possibile apportare modifiche al “manifesto” iniziale.
Secondo Falasca, chi ha firmato quel “manifesto” avrebbe invece colto la “sfida della contemporaneità, la drammatica necessità di riformare radicalmente il mercato del lavoro, il sistema del welfare, il fisco, le istituzioni repubblicane, il modello d´istruzione pubblica o la politica infrastrutturale su criteri di competitività, inclusione, innovazione, sussidiarietà e sostenibilità delle scelte pubbliche”. La tesi c’è, peccato manchi la dimostrazione.
Potrebbe Falasca spiegarci quando e come sarebbe maturata tale consapevolezza nei vari eccellenti firmatari? Altra domanda: se la sfida è stata colta, perché il manifesto è una congerie di, mi si consenta, parole prive di significato per tanti cittadini che vogliono proposte chiare subito? Un manifesto è pur sempre solo un manifesto, spiega Falasca. Come dire: l’importante non è dire cosa faremo hic et nunc, l’importante è incominciare a contarsi e fare gruppo (o forse ammucchiata?).
Vero è, per noi, il contrario. Se davvero intendiamo comunicare agli italiani che abbiamo colto la “sfida della contemporaneità” non possiamo esimerci dal dire che cosa faremo, se e quando andremo al governo. E questo sin dall’atto fondativo o pre-fondativo, non alle calende greche. Nessuno pensa ovviamente che un manifesto debba assumere i contorni di un articolato di legge (finanziaria), come ironicamente suggerisce Falasca. Basterebbe compulsare un dizionario. Il manifesto è, chiarisce il Sabatini-Coletti, uno “scritto che rende noti i principi ispiratori e il programma di un movimento politico, artistico, culturale”.
Può Falasca illustrarci, di grazia, quali siano i principi ispiratori e il programma del movimento per la Terza Repubblica? Forse che nel non-arroccamento, qualsiasi cosa ciò significhi, rientri anche l’assenza di un programma, sia pure per sommi capi? Forse che il non-arroccamento sia un neologismo per indicare il fatto che è meglio, in un momento di forte incertezza, “tenersi le mani libere”?
In tutta onestà, se Fermare il Declino avesse deciso, come sostiene Falasca, di arroccarsi senza compromessi su posizioni liberiste (sic) non avremmo riempito, né riempiremmo le sale di svariate decine di teatri in tutta Italia. Pensare che il compromesso sia la prima e unica arma di cui il politico deve far uso, magari ancor prima di iniziare un’avventura elettorale, è – questo sì! – un pericoloso arroccamento nel passato.