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Caro Piga, privatizzare è cosa buona e giusta

Qualche giorno fa, commentando una recente proposta di Italia Futura, il collega professor Gustavo Piga ha affrontato qui su Formiche.net il tema delle privatizzazioni. Con la sua consueta autorevolezza si è soffermato nello specifico sulla proposta denominata “patrimoniale sullo Stato” la quale, a suo modo di giudicare, non sarebbe molto convincente. Nessuno dubita, d´altronde, che se lo Stato ha un patrimonio attivo, questo o è degli italiani, oppure non siamo più in democrazia. E nessuno può dubitare che la vendita di azioni detenute dallo Stato, anche mediante proprietà immobiliari, possa coincidere direttamente con la perdita di aree strategiche di mercato che non comporterebbero necessariamente maggiori benefici collettivi.

Al di là, tuttavia, dei benefici d´inventario che pure lo stesso Piga riconosce al suo scetticismo, mi sembra che la seconda parte della critica sia abbastanza congetturale; corrispondente cioè a quel ragionamento che Immanuel Kant chiamava in latino “sofisma figurae dictionis”, ossia una deduzione volutamente inesatta che salta retoricamente qualche passaggio fondamentale per essere efficace nelle conclusioni.

In primo luogo non è per niente escluso dal programma di Italia Futura, così come si sta pian piano enucleando, una massiccia serie d´iniziative per i giovani. La prima delle quali è riportarli alla politica, cioè invitarli e spronarli a sentirsi protagonisti e partecipi del loro tempo e della nostra storia comune con un programma e una possibile “nuova casa politica”. Anzi, già nella breve sintesi richiamata poco fa e uscita sul sito web con il titolo Agenda 2013, vi è una sezione dedicata al nodo centrale dello sviluppo nazionale costituito per l´appunto dalla valorizzazione umana e professionale delle nuove generazioni.

Oltretutto, sebbene per sostenere lo sviluppo occorra finanziare università, scuole professionali e nuove imprese e sebbene per finanziare bisogna anche risparmiare, specialmente se si ha un debito pubblico come il nostro, io scorgo, tuttavia, un fondo di verità nei dubbi espressi sulle privatizzazioni nell´articolo. Viste le precedenti dismissioni degli anni ’90 che sono state non delle privatizzazioni, ma dei trasferimenti surrettizi, oligopolistici, di beni e attività strategiche dello Stato a soggetti privati, estranei a ogni logica di mercato, c´è un argomento importante che riguarda peculiarmente la cessione delle proprietà immobiliari. Condivido personalmente le difficoltà molte volte espressemi anche personalmente in materia dal professor Luigi Paganetto, secondo cui la convenienza alla vendita è resa difficile dalla riqualificazione sul mercato delle proprietà pubbliche, le quali finiscono di solito per essere svendute, o magari solo vendute male, costando più del ricavato.

Aggiungo, ulteriormente, che in un´ottica orientata al bene comune e all´interesse nazionale, è logico che certi nodi strategici, non più di competenza pubblica, facciano sentire la loro assenza nella competitività sul mercato delle nostre imprese. E a pagare il prezzo sono proprio il nostro capitale personale e familiare più diffuso: ossia i giovani. Sto pensando, ad esempio, al turismo, che non può prosperare senza una solida compagnia aerea di bandiera o all´industria legata ai servizi, che fatica ovunque senza alcune, dico solo alcune, gestioni pubbliche strategicamente sostenute dalla collettività attraverso uno Stato presente, efficace ed efficiente.

Malgrado, insomma, la giusta prudenza e i debiti distinguo, mi sembra che l´Italia abbia bisogno però di operare scrupolosamente nel senso di una forte capitalizzazione proveniente da altrettanto serie, cioè ben gestite, privatizzazioni. Queste, infatti, devono andare a beneficio prevalentemente dei più giovani, a favore cioè di una società dinamica e competitiva che non può più permettersi uno “Stato imprenditore” del tipo pensato genialmente da Pasquale Saraceno negli anni ‘50, vedendo oggi dissanguata e strozzata ogni momento di più la propria potenza sociale e produttiva.

Qui, forse, mi separa da Piga l´idea della funzione ultima, strategica e politica che deve avere lo Stato. Io la concepisco come una società multiforme, come un´interazione positiva e propulsiva di famiglie, piccole imprese e attività generose e di volontariato che devono essere attivate e potenziate nel mercato globale da meno Stato, meno pressione fiscale, e più governo e più politica. Il resto non mi sembra andare a favore del giustamente menzionato “capitale umano del nostro Paese”. Un fondamentale straordinario, fino a ora solo umiliato, che è l´essenza del nostro Futuro e del nostro Presente, ed è, non da ultimo, il motivo vero per cui Italia Futura intende presentarsi alle prossime elezioni politiche.

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