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Ecco i dossier ambientali alla Conferenza Onu a Doha

Si apre oggi a Doha, nel Qatar, la XVIII Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.   A confronto con dati sempre più preoccupanti sull’innalzamento delle temperature e incalzati da richiami via via più stringenti da parte delle comunità scientifiche, i rappresentanti dei governi di 190 paesi tenteranno di sbloccare i difficili negoziati sul clima e, in particolare, di varare il secondo atto del Protocollo di Kyoto.

“E’ necessario portare una risposta rapida ai cambiamenti climatici e questo si può fare”, ha dichiarato alcuni giorni fa la responsabile per il clima dell’Onu, Christiana Figueres: “A Doha bisogna fare in modo di passare alla marcia superiore”, ha aggiunto.   La conferenza che si apre oggi andrà avanti fino al 7 dicembre. Il 4 dicembre i negoziatori saranno raggiunti da oltre 100 ministri, cui spetterà di siglare l’accordo, ulteriore tappa nel laborioso processo di negoziati avviati nel 1995 nel quadro delle Nazioni Unite.

Il principale dossier riguarda Kyoto II, il prolungamento del protocollo di Kyoto, che scade a fine 2012, deciso in linea di principio alla precedente conferenza di Durban. A Doha i 190 paesi presenti dovranno mettere nero su bianco le regole giuridicamente vincolanti per ridurre le emissioni di gas serra per evitare un vuoto giuridico dopo il dicembre 2012. In primis la durata: otto anni come chiede l’Ue oppure cinque come chiedono altri paesi del sud del mondo?   In secondo luogo va definito chi aderirà: Giappone, Canada, Russia e Nuova Zelanda non vogliono farne parte. Kyoto II quindi riguarda essenzialmente l’Ue, la Svizzera, la Norvegia e l’Australia, paesi che assieme producono il 15% delle emissioni di gas serra. In terzo luogo vanno definiti gli obiettivi in cifre: l’Ue ha annunciato una riduzione del 20% entro il 2020, mentre l’Australia del 5%.

Il secondo grande dossier riguarda le fondamenta dell’accordo globale previsto per il 2015: a Durban è stato creato un gruppo di lavoro che dovrebbe trovare un compromesso, in particolare sulla forma giuridica, per questo accordo ambizioso che dovrebbe coinvolgere tutti i paesi ed entrare in vigore nel 2020. A Doha dovrebbe trovare risposta la spinosa questione dell’equità, vale a dire un’equa ripartizione degli sforzi tra paesi del nord e del sud del mondo per contenere il riscaldamento climatico. I paesi del sud del mondo insistono sulla “responsabilità storica” di quelli industrializzati e sottolineano il loro “diritto allo sviluppo”.

A Doha si cercherà inoltre di “puntare più in alto”, vale a dire ridurre in modo più drastico di quanto finora stabilito le emissioni di gas serra nel tentativo di limitare il riscaldamento a solo due gradi in più entro il 2020. Questo potrebbe prevedere il coinvolgimento di paesi, come quello ospitante, che finora non hanno mai preso impegni sul clima.   Altra importante questione è l’aiuto ai paesi più vulnerabili, un impegno preso dalla comunità internazionale a Copenaghen alla fine del 2009 che prevedeva lo stanziamento di 100 miliardi di dollari l’anno fino al 2020 per aiutare i paesi più vulnerabili a prepararsi e a lottare contro le conseguenze dei cambiamenti climatici. La provenienza di questi fondi resta ancora una questione aperta.

Infine la messa in pratica di alcuni meccanismi come i Fondi verdi, attraverso i quali deve transitare l’aiuto finanziario per i paesi vulnerabili, il trasferimento di tecnologie e l’istituzione di un comitato incaricato di aiutare i paesi del sud del mondo.

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