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Il prof. Piga sale in cattedra e tiene una lezioncina sull’euro

Il lettore mi perdoni se entriamo in alcuni tecnicismi nel rispondere agli stimoli (in corsivo) dei fermatori del declino.
1. Conta il tasso reale, non quello nominale
“Se mi indebito a lungo termine con inflazione e tasso nominale molto alti, rischio di trovarmi dopo qualche tempo, con un´inflazione molto più bassa e tassi di interesse ´reali´ da usura”.
Interessante argomentazione. E’ esattamente quello che è successo a seguito dell’euro. Su tutte le emissioni di bond a 10 e 30 anni degli anni ’90 abbiamo pagato ex-post tassi reali altissimi per la deflazione inattesa che è avvenuta con l’inatteso ingresso nell’euro.
 
“Un tasso di inflazione alto non è esattamente salutare per l´economia e soprattutto non è controllabile. Si parte con l´idea di cavalcare la tigre inflazionistica e si finisce a correrle dietro attaccati per la coda, incapaci di arrestarla”.
Non pensavo che l’articolo che commentavo riguardasse l’inflazione ma la spesa per interessi. E non mi pare che tanti Paesi fuori dall’euro, scandinavi e Regno Unito per esempio, abbiano perso il controllo della tigre.
 
2. Non sappiamo come sarebbe andata a finire
“Il professor Piga ipotizza che, trafitti dall´orgoglio ferito per non essere stati ammessi nell´euro, saremmo stati spinti a “far meglio” dei nostri vicini ammessi nella moneta unica. Tutto è possibile. Non comprendo da dove derivi tutta questa fiducia nella classe politica che ci ha governato negli ultimi 18 anni. Se poi teniamo conto che il primo argomento usato per auspicare un ritorno alla lira è proprio la possibilità di poter “svalutare competitivamente” la moneta nazionale, direi che ci possiamo togliere ogni dubbio”.
Di nuovo, il punto non è questo. Anche qualora svalutassimo, la domanda è: cosa succederebbe ai tassi reali? Il mio punto era che non è detto che questi aumentino.
 
3. La differenza tra i tassi è dovuta alla convergenza dei tassi d´inflazione
Questo punto mi è particolarmente ostico da comprendere.
“Gli anni a ridosso dell´ingresso nell´euro hanno visto queste aspettative convergere verso i valori tedeschi, mentre contemporaneamente è venuto un altro fattore che poteva far lievitare il nostro tasso di interesse rispetto a quello tedesco: il rischio di cambio, ovvero la possibilità che la lira venisse svalutata rispetto al marco”.
Non mi è molto chiaro. Se è effettivamente venuto quest’altro fattore (e non lo è) come sarebbe stato possibile aspettarsi convergenza tra i tassi d’inflazione?
 
“È davvero così inverosimile pensare che siano state queste aspettative ad azzerare quelle componenti e far convergere il tasso di interesse italiano (e quello degli altri paesi entrati nell´euro) verso quello tedesco già a partire dal 95/96?”
Il tasso italiano nel 95/96 non aveva fatto convergenza con quello tedesco, come lo stesso autore dice nel suo primo articolo: “un modo per calcolare il cosiddetto “dividendo dell’euro” può quindi essere quello di computare la differenza di interessi pagati, dal 1996 al 2011, nel caso in cui questo “spread medio” fosse rimasto al livello del 1996.” Ed è questo che è inverosimile. Usare il tasso nominale e non quello reale.
 
4. Non conta quanto paghiamo di interessi perché “lo dobbiamo a noi stessi”
“c´è una bella differenza tra i “we” che pagano gli interessi sul debito (i contribuenti) e gli ourselves che invece li ricevono. Tra questi ultimi ci sono, infatti, banche, fondi e lavoratori prossimi alla pensione che, molto probabilmente, hanno potuto godere lautamente della spesa pubblica in deficit dei decenni precedenti. Nei “we” troviamo invece categorie, come i giovani, che poco hanno contribuito all´esplosione del debito pubblico mentre ora sono chiamati in prima persona a pagarne il conto”.
Quindi, se ben capisco: tra chi riceve gli interessi ci sono le banche. Certo, e anche tra chi paga le tasse ci sono le banche. Tra chi riceve gli interessi ci sono i lavoratori prossimi alla pensione. Certo, e molti di quegli interessi andranno in eredità ai loro figli.
 
Il che mi porta a ricordare anche che le stesse persone che hanno contribuito all’esplosione del debito hanno anche risparmiato tantissimo in vista della futura tassazione ai figli. Si chiama “equivalenza ricardiana” dal nome dell’economista che descrisse per primo questo fenomeno, David Ricardo, che aveva la buona abitudine di occuparsi non solo di teoria macroeconomica ma anche di mercati finanziari e borse, sulle quali commerciava attivamente. Il “conto” i giovani spesso lo pagano con le case che gli hanno lasciato in eredità quei genitori che così spendaccioni non sono stati e si preoccupavano per loro.
 
“Dal punto di vista della crescita, invece, le imprese produttive sono danneggiate due volte: quando lo stato fa loro concorrenza sul mercato del credito e poi quando sono costrette a pagare tasse più alte per finanziare gli interessi sui debiti contratti dal governo”.
Bisogna capirsi. Il paragone di cui parliamo è sulla spesa per interessi dentro e fuori l’euro, che c’entra la concorrenza sul mercato del credito?
Se queste imprese hanno pagato più tasse, lo ripeto, le avrebbero pagate con tutta probabilità sia nell’euro che fuori, perché i tassi reali è probabile che sarebbero stati molto simili.
 
5. Una cosa è certa. I governi che si sono trovati alla guida dell´Italia dal 1996 al 2011 hanno avuto una grande opportunità, ovvero sfruttare la riduzione dei tassi di interesse pagati sul debito per mettere in sicurezza i conti pubblici. Non solo non lo hanno fatto, ma hanno approfittato di questi risparmi per allargare i cordoni della spesa pubblica improduttiva e a fini clientelari.
Questa è una frase che non ha nulla a che vedere col supposto dividendo dell’euro perché l’opportunità non è venuta tanto dai minori tassi (reali) che ripeto avremmo potuto avere anche senza l’euro, ma dalla buona crescita economica dei primi anni del secolo. E in effetti non abbiamo approfittato della crescita per mettere in sicurezza i conti pubblici. Noi come tanti altri partner europei.
Nel farlo, hanno posto le basi per il declino dell´Italia. Loro, non l´euro.
 
Ecco, in questa frase mi ritrovo certamente. L’euro c’entra poco o nulla con gli errori di cui sopra, né con le mancate riforme ad inizio secolo che, sì, avremmo potuto fare.
Resta da capire cosa abbia di “positivo” l’euro per i fermatori del declino. E devo dire che su questo mi piacerebbe sentire da loro se hanno una visione per l’Europa o se le sono indifferenti, come mi paiono sulla materia alcuni dei loro principali leader. E, se hanno questa visione, se questa passa per la difesa dell’euro e perché. E, ancora, se così fosse, se intendono schierarsi a favore della stupida austerità che ucciderà l’euro o dell’espansione che lo salverà.


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