Può un concorso europeo essere promosso solo in inglese, francese e tedesco, non tenendo conto degli idiomi di tutti gli Stati membri? La Corte di Giustizia europea sostiene di no, con un provvedimento che già provoca commenti e malumori nelle stanze della Commissione a Bruxelles. I giudici di Lussemburgo hanno infatti annullato una sentenza di primo grado espressa nel settembre del 2010 sulla base di alcuni ricorsi dell’Italia.
Cosa ha scatenato il ricorso italiano
Nel febbraio e nel maggio 2007, l’Epso, che organizza le procedure di assunzione dei funzionari dell’Unione, ha pubblicato alcuni bandi di concorso per amministratori e assistenti nel settore dell’informazione, della comunicazione e dei media. Tali bandi sono stati pubblicati nelle lingue tedesca, inglese e francese nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea («GUUE»). Per quanto riguarda l’ammissione e lo svolgimento dei test di preselezione, erano richieste una conoscenza approfondita di una delle lingue ufficiali dell’Unione come lingua principale e una conoscenza soddisfacente del tedesco, dell’inglese o del francese come seconda lingua, differente da quella principale. Inoltre, era previsto che le convocazioni, la corrispondenza tra l’Epso e i candidati, nonché i test di preselezione si sarebbero svolti unicamente in tedesco, in inglese o in francese. Le medesime condizioni erano previste per l’ammissione alle prove scritte, nonché per lo svolgimento di queste ultime. Nel giugno e nel luglio 2007, l’Epso ha pubblicato due modifiche nella GUUE, in tutte le versioni linguistiche, nelle quali veniva fatto espresso rinvio alla versione integrale dei bandi già pubblicati nelle lingue tedesca, inglese e francese e venivano riaperti i termini per la presentazione delle candidature.
I termini della contestazione
L’Italia ha proposto dinanzi al Tribunale alcuni ricorsi per l’annullamento dei bandi suddetti. Ha contestato essenzialmente la mancata pubblicazione integrale dei bandi nelle lingue ufficiali diverse da quelle tedesca, inglese e francese, nonché l’arbitraria limitazione della scelta della seconda lingua a tre lingue soltanto ai fini della partecipazione ai concorsi, delle comunicazioni con l’Epso e dello svolgimento delle prove. Avendo il Tribunale rigettato tali ricorsi, l’Italia ha proposto un’impugnazione dinanzi alla Corte di giustizia, facendo valere che il Tribunale, confermando la validità dei bandi, aveva commesso un errore di diritto.
La sentenza
Nella sentenza la Corte esamina, in primo luogo, la mancata pubblicazione integrale dei bandi in tutte le lingue ufficiali. Essa ricorda che il regime linguistico dell’Unione europea definisce come lingue ufficiali e lingue di lavoro delle istituzioni dell’Unione le 23 lingue attuali dell’Unione, che la GUUE deve essere pubblicata in tutte le lingue ufficiali e che, secondo lo Statuto dei funzionari dell’Unione, i bandi di concorso generale devono essere pubblicati nella GUUE. Pertanto, la combinazione di tali regole implica che i concorsi controversi avrebbero dovuto essere pubblicati integralmente in tutte le lingue ufficiali. Poiché tali disposizioni non prevedono alcuna eccezione, il Tribunale ha commesso un errore di diritto statuendo che la pubblicazione successiva delle modifiche aveva posto rimedio alla mancata pubblicazione integrale. Ad ogni modo, partendo dal presupposto che i cittadini dell’Unione europea leggano la GUUE nella loro lingua materna e che tale lingua sia una delle lingue ufficiali, un potenziale candidato la cui lingua materna non fosse una delle tre lingue in cui erano stati pubblicati integralmente i bandi avrebbe dovuto procurarsi la citata Gazzetta in una di tali lingue e leggere il bando in questa lingua prima di decidere se presentare la propria candidatura. Un candidato siffatto era dunque svantaggiato rispetto a un candidato di lingua materna inglese, francese o tedesca, sia sotto il profilo della corretta comprensione di tali bandi sia relativamente al termine per preparare ed inviare la propria candidatura. In secondo luogo, la Corte esamina la limitazione della scelta della seconda lingua ai fini della partecipazione a un concorso. Essa constata che una limitazione siffatta può essere giustificata dall’interesse del servizio. A giudizio della Corte, eventuali regole che limitino la scelta della seconda lingua devono prevedere criteri chiari, oggettivi e prevedibili, per permettere ai candidati di conoscere con sufficiente anticipo le conoscenze linguistiche richieste e per potersi preparare ai concorsi nelle migliori condizioni. Le istituzioni interessate dai concorsi non hanno mai adottato norme interne disciplinanti le modalità di applicazione del regime linguistico nel loro ambito. La Commissione non ha neppure invocato l’esistenza di altri atti, come ad esempio comunicazioni enuncianti i criteri per una limitazione della scelta di una lingua quale seconda lingua per partecipare ai concorsi. Infine, i bandi controversi non contenevano alcuna motivazione giustificante la scelta delle tre lingue ammesse.
Una barriera per i candidati migliori
Affinché le istituzioni possano assicurarsi i candidati migliori (in termini di competenza, di rendimento e di integrità) può essere preferibile che questi ultimi siano autorizzati a sostenere le prove di selezione nella loro lingua materna o in quella che essi padroneggiano meglio. Inoltre, le conoscenze linguistiche costituiscono un elemento essenziale della carriera dei funzionari e le istituzioni possono controllare gli sforzi mostrati da questi ultimi per metterle in pratica e per acquisirne eventualmente di nuove.
Il compito delle Istituzioni e le conseguenze concorsuali
Spetta dunque alle istituzioni effettuare un bilanciamento tra, da un lato, la limitazione del numero di lingue dei concorsi e, dall’altro, l’obiettivo di individuare i candidati aventi le più elevate qualità di competenza e le possibilità di apprendimento, da parte dei funzionari assunti, delle lingue necessarie all’interesse del servizio. Di conseguenza, la Corte annulla la sentenza del Tribunale. Statuendo definitivamente sulla controversia, essa annulla anche i bandi relativi ai concorsi generali. Per contro, al fine di salvaguardare il legittimo affidamento dei candidati selezionati, i risultati dei concorsi non verranno rimessi in discussione.
Il commento dei Vicepresidenti del Parlamento UE Pittella e Angelilli
Esprimiamo soddisfazione per la sentenza della Corte di giustizia dell’Ue che ha riconosciuto le ragioni del ricorso presentato dall’Italia sull’esistenza di un’effettiva discriminazione nella pubblicazione di bandi di concorso europei in sole tre lingue”, dichiarano i Vicepresidenti del Parlamento europeo Roberta Angelilli (Pdl) e Gianni Pittella (Pd).
“Le lingue ufficiali e di lavoro riconosciute dall’Unione europea sono 23, tutte godono della stessa dignità ed è legittimo che a tutti i candidati degli Stati membri siano garantite le stesse condizioni di accesso e di partecipazione ai concorsi affinché come sottolineato dai giudici di Lussemburgo le Istituzioni possano assicurarsi i candidati migliori”, concludono i Vicepresidenti.
Michele Pierri