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La pagella sulla comunicazione (e non solo) del governo Monti

È impressionante la volubilità d´opinioni che si è registrata nel corso dell´intero anno, in molti casi orientata dai leader d´opinione, e per lo più ancorata ai contesti e alle “bolle comunicative” del momento. Si pensi a quanto straripante fosse il consenso nei primi mesi, e alla progressiva erosione a fronte delle politiche adottate. Proviamo allora a elaborare un giudizio meno stagionale che tenga conto di un dato quantomeno inedito rispetto alle ultime legislature italiane: la costanza. Un anno di Governo senza troppi traumi sociali è già un miracolo.

Nel nome del rigore

Dovendo valutare l´operato di Monti, emerge chiaramente che protagonista indiscussa tanto sul piano dell´azione politica, quanto sul piano della strategia comunicativa, è stato senza dubbio il rigore. Le politiche pubbliche hanno visto avvicendarsi molti tagli, orientati a sanare il deficit pubblico, come se davvero ridurre i finanziamenti al servizio sanitario, alle scuole, alle università o al sistema pensionistico potesse favorire un ripresa strutturale. È ormai chiaro che non si esce dalla crisi con interventi ispirati alla stessa logica che l´ha provocata: in questo senso, la spending review e le scelte adottate da molti della squadra di Monti sono certamente opinabili (basti pensare alla modifica dell´art. 18 dello Statuto dei lavoratori, agli esodati, alla precarizzazione progressiva del lavoro giovanile), quantomeno se si riflette sull´impermeabilità politica delle scelte adottate, entro una sorta di delega in bianco da parte della maggior parte dei partiti e nell´assenza di una sostanziale negoziazione con le parti sociali del Paese.

Lo stile comunicativo

Sul piano dello stile comunicativo, il rigore ha giocato certamente un ruolo più positivo. Specialmente nella fase iniziale, la figura di Monti ha restituito sobrietà e pacatezza alla classe dirigente del nostro Paese che esce con le ossa rotte dal ventennio del populismo sfociate prevedibilmente nell´antipolitica. Tuttavia, la distanza tra l´Esecutivo e il pubblico-cittadinanza non è mai un aspetto del tutto positivo, soprattutto nel caso di un Governo “di programma”, non eletto direttamente dagli italiani: l´assenza di una legittimazione popolare avrebbe reso opportuno, forse, un maggiore investimento sulla in-formazione dell´opinione pubblica. È evidente che la scarsa dimestichezza di Monti e di alcuni ministri con i media sia riconducibile tanto a caratteristiche di personalità quanto al background professionale e culturale. Alcune delle frasi infelici collezionate in questo anno, come “il lavoro fisso, che monotonia” o “il lavoro non è un diritto”, ne sono in qualche modo la riprova. Ma anche qui occorre ricordare che solo due anni fa non ci saremmo stupiti e indignati, tanto il clima culturale era ispirato alla divisione degli animi.

Il voto…

In definitiva, un giudizio sintetico sul Premier tiene conto di due dimensioni fondamentali: ha riconfigurato l´immaginario associato ad un Presidente del Consiglio, ed ha fatto scelte di cui il divisionismo bipolarista non è stato minimamente capace. Almeno 7, sul campo.

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