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Un paio di consigli rooseveltiani per Bersani

E così il Partito Democratico vinse le elezioni. Le vinse perché il precedente governo, che aveva gestito la politica economica durante la Grande Depressione, aveva accentuato questa con la stupida austerità. E con la vittoria democratica vennero anni di spesa pubblica a sostegno dell’economia. E questo sostegno intelligente e solidale permise al Partito democratico di rimanere al potere per altri 30 anni.
 
Così dicono tre ricercatori americani nel loro ultimo lavoro empirico. No, non si occupano di Bersani ma di Franklin Delano Roosevelt (FDR), il presidente Usa eletto nel 1932, e la cui politica economica – secondo i tre – di maggiore spesa pubblica di allora ha aumentato il sostegno ai democratici americani del 10% nel lungo periodo.
 
Ci pensi, il partito democratico nostrano. Ci pensi ora a programmare bene la sua politica economica, il cui potenziale potrebbe andare ben al di là di uno o due mandati elettorali. Ma in realtà il paragone è imperfetto. Roosevelt regnava su una unione monetaria di tanti stati fortemente indipendenti. Bersani, se vincesse, regnerebbe su uno solo di questi stati.
 
In effetti il saggio dei tre ricercatori e la sua verifica empirica ci regalano anche una fondamentale lezione storica per la nostra unione monetaria europea. Quando Roosevelt nel 1932 dovette decidere cosa fare per uscire dalla crisi ereditata, il peso dello stato federale nell’economia Usa era ancora basso seppure in crescita dai primi anni del Novecento: la spesa federale ammontava a 30% del totale e forte era il potere e l’autonomia degli stati e degli enti locali.
 
Cosa scelse di fare FDR?
 
Scelse di fare la cosa giusta economicamente: espansione fiscale dal centro, per aiutare la domanda interna e combattere la disoccupazione. Scelse di fare la cosa giusta politicamente: espansione fiscale dal centro sì, ma senza rimuovere il potere decisionale di Stati ed enti locali, utilizzando la leva dei trasferimenti a questi che mantenevano l’autonomia e la discrezionalità sull’allocazione della spesa.
 
Scelse di fare la cosa giusta elettoralmente: concentrò l’aiuto di spesa in modo tale da modificare per un lunghissimo periodo le preferenze politiche del votante medio Usa a favore del suo partito, appunto quello democratico. Pochi anni dopo, otto per la precisione (nel 1940), gli Stati Uniti erano un’unione monetaria completamente diversa e molto più simile a quella odierna: il totale della spesa federale sulla spesa totale era salito dal 30 al 46%.
 
E come era stato possibile riuscire a sottrarre così tanto potere ai singoli stati e centralizzare così rapidamente la funzione di governo? Semplice. Nel modo opposto che sta seguendo attualmente l’Unione monetaria europea, che si trova in condizioni di (quasi) pari difficoltà economica: ottenendo la fiducia dei singoli stati membri, specie quelli più in difficoltà, ideando maggiori e massicci trasferimenti ed aiuti dal centro. Pochi anni dopo, grazie a questa generosità, nessuno stato si oppose di fatto a cedere maggiori poteri di spesa al centro.
 
Pochi anni dopo era cambiato anche il tipo di spesa pubblica Usa: se dal 1932 al 1936 dominarono i trasferimenti dal centro, dal 1936 al 1940 la spesa fu fatta direttamente dal centro. Era nata l’unione monetaria federale basata su spesa pubblica dal centro e trasferimenti dagli stati più ricchi agli stati più poveri tramite un bilancio unico.
 
Noi europei oggi facciamo l’opposto: parliamo di unione fiscale negando aiuti ai paesi membri più in difficoltà. La mancanza di solidarietà verso questi, se stupidamente e cocciutamente perseguita, otterrà il risultato opposto a quello ottenuto dalla leadership intelligente di FDR: la morte non solo di qualsiasi tentativo di unione fiscale ma anche di qualsiasi residua speranza di sopravvivenza per l’unione monetaria.

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