Il Governo e il Parlamento hanno deciso di fare un regalo di Natale (o di fine legislatura) ai giovani che si trovano in una situazione di precariato: la legge di stabilità dispone che fino al 40% dei nuovi assunti nella pubblica amministrazione nei prossimi anni potranno essere riservati a precari. Il CNR ha fatto ancora di più: ha deciso di assegnare i posti di turn-over per ricercatore (quelli, per intenderci, che servono a rimpiazzare i dipendenti che vanno in pensione) a giovani che fossero stati considerati idonei in un precedente concorso e che ora siano precari. Inoltre è stato deciso di prolungare fino al 2016 i contratti a termine in scadenza.
Anche se bisognerebbe discutere su cosa intendiamo per “precario”, è sicuramente vero che la maggior parte dell’attività di ricerca viene portata avanti da giovani non strutturati. Alcuni di questi si avvicinano o hanno superato la soglia dei quarant’anni e vivono con contratti a tempo determinato, spesso sottopagati, in una incertezza totale. Una situazione aggravata dal fatto che in Italia non esiste un mercato produttivo in grado di assorbirli. Ben venga, quindi, un provvedimento che sana la situazione e che dà a questi “giovani” un po’ di sicurezza sul futuro.
In questa buona notizia di Natale rimangono però alcuni aspetti negativi.
Prima di tutto l’esistenza stessa dei precari. Nel campo della ricerca un precario è una persona che ha ormai raggiunto la sua maturità, sa scrivere lavori scientifici e progetti di ricerca, sa proporli per ottenere finanziamenti e portarli avanti. Per intenderci, non è un neo-laureato dottorando o un giovane nei primissimi anni di carriera. Molto spesso ha già lavorato per qualche anno in laboratori di punta all’estero, dove ha appreso tecnologie che in Italia fatica ad applicare. È, insomma, una persona con un’alta preparazione che, per motivi personali, ha deciso di restare o tornare in Italia e che vive con piccoli contratti più miseri di quelli che potrebbe ottenere all’estero.
In tutto il mondo i ricercatori, nelle fasi iniziali o addirittura per tutta la loro professione, vivono con contratti a termine. In America arrivano a pagarsi il loro salario ricavandolo dai finanziamenti alla ricerca che riescono a ottenere. Il problema non è quindi la mancanza di un posto fisso. È la mancanza di un posto fisso in un sistema strutturato per il posto fisso. È la mancanza di regole certe che definiscano i profili professionali e che permetta di pagare salari maggiori e differenziati. In Italia, per esempio, le Telethon career permettono ai giovani più brillanti di diventare ricercatori indipendenti a contratto su un modello paragonabile a quello che potrebbero trovare all’estero. La quasi totalità dei precari negli enti pubblici di ricerca e nell’Università però non riesce ad accedere a una Telethon career, non svolge un’attività di ricerca indipendente ma lavora per un ricercatore a tempo indeterminato che è responsabile dei fondi e paga lo stipendio.
Infine, come abbiamo accennato, da noi non esiste una reale offerta di mercato, un tessuto industriale in grado di assorbire i giovani ad alta qualificazione, soprattutto perché la ricerca industriale in Italia è molto ridotta rispetto all’estero. Tutti questi fattori contribuiscono a creare l’aspettativa spasmodica del posto fisso come unica soluzione da una specie di incubo, in alternativa alla cosiddetta “fuga dei cervelli”.
Per cambiare questo stato di cose in Italia non viene fatto nulla. Così, assistiamo periodicamente ai condoni edilizi e alle sanatorie dei precari. E nello stesso momento in cui si fa una sanatoria creiamo un’altra schiera di “servi della gleba” che attenderanno pazienti la prossima.
Proponiamo invece ai giovani ricercatori di mettersi nel libero mercato, di accedere ai laboratori migliori con posti a contratto, come avviene nel resto del mondo. E fissiamo delle regole certe e trasparenti con cui assegnare i posti di lavoro negli enti di ricerca e nelle università, un numero fisso ogni anno. In questo modo tutti sapranno da subito quale sarà il loro futuro e prenderanno le decisioni adeguate, senza entrare in una vita di compromessi e in taluni casi di “umiliazioni”.
Se accompagnata da altre misure, la stabilizzazione dei precari contribuirà a dare un po’ di normalità a questo paese. Tuttavia, come tutte le sanatorie che l’hanno preceduta, non aiuterà ad attirare le menti migliori e i finanziamenti esteri di cui il sistema Italia ha bisogno per aumentare la propria competitività in questo periodo di crisi.
Detto questo, auguriamo un Felice anno nuovo a tutti i precari della ricerca italiana. Con tutto il cuore.
Buon anno, precari!
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