Primo censimento nazionale dei think tank italiani, svolto osservandone attività e struttura organizzativa con riferimento all’anno 2011. La ricerca, diretta da Mattia Diletti, è stata svolta nell’anno 2012 dal Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell’Università “Sapienza” di Roma in collaborazione con Vodafone, attraverso la rilevazione di dati quantitativi e qualitativi su 105 strutture censite, con 71 delle quali si è potuto procedere allo svolgimento di interviste in profondità a una delle figure dirigenziali della Fondazione, Istituto, Associazione.
“E’ un progetto che nasce da una riflessione sui Think Tank come nuovi luoghi della politica, capaci di interpretare le più attuali dinamiche di aggregazione e confronto a cui stiamo assistendo in questi stessi giorni e ore – ha affermato Saverio Tridico, Direttore Affari Pubblici e Legali di Vodafone Italia, presente alla presentazione della ricerca.- L’auspicio è quello di proporre un confronto aperto e costruttivo, in cui il settore delle Telecomunicazioni – i cui temi sono cosi rilevanti per il Paese – possa contribuire attraverso i propri strumenti di riflessione, ricerca e pianificazione di lungo periodo.
I think tank in Italia e all’estero
Come sottolinea la ricerca condotta dalla Sapienza, i think tank italiani – ed europei – sono organizzazioni indipendenti, permanenti, la cui principale vocazione è quella di fornire soluzione per le politiche pubbliche. Al contrario del caso americano, in Europa non sempre ciò avviene attraverso la costituzione di organizzazioni di ricerca permanenti, ma piuttosto attraverso il coinvolgimento di esperti e l’utilizzo di strumenti grazie ai quali si intende influenzare il dibattito pubblico, il decisore, gli stakeholder di uno specifico settore di politica pubblica.
Come nascono
Nel 2012 i think tank italiani sono 105; erano 63 alla fine del 2005, 33 nel 1993. Negli ultimi venti anni sono nati più di due terzi dei think tank attuali (di questi, la maggior parte nascono dopo il 2000). Il picco più alto di nascite è il 2009 (ben 13). Le variabili principali che ne determinano la nascita in Italia sono sei: a) la crisi delle organizzazioni di partito; b) i processi di personalizzazione della politica; c) le nuove forme di lobbying indiretto affermatesi negli ultimi venti anni (non solo attività di pressione, ma anche la necessità di una cornice culturale che sostenga specifiche iniziative di lobbying, l’importanza della costruzione del dato e della conoscenza a supporto dell’attività di lobbying); d) l’aumento dei punti di accesso per la competizione tra interessi e idee (la nascita di agenzie e authority, il rafforzamento del livello locale e di quello sovranazionale); e) la crisi della ricerca universitaria (che ha spinto a forme di organizzazione e offerta del sapere più autonome e policy oriented); f) la trasformazione del ruolo degli intellettuali e degli esperti.
Sintesi della ricerca
Nel 2011, Il budget medio di queste organizzazioni è stato di 800 mila euro, mentre il personale coinvolto nella vita dei think tank, con diverse modalità di relazione, è di circa 1800 unità.
Quattro le tipologie di think tank che sono state definite: i think tank personali, legati a singole personalità politiche (il 32,4%); quelli policy oriented, più simili al modello anglosassone e legati all’idea del primato della ricerca (il 41%); quelli di memoria e cultura politica (dallo Sturzo al Gramsci, il 19%); i policy forum, network di confronto tra classi dirigenti di orientamento plurale (7,6%).
Il 43,8% dei think tank italiani è specializzato in un unico settore di policy (politica internazionale, politica economica, comunicazione e mass media ecc. ecc.); gli altri mantengono un approccio multi issue. Il 51% dei think tank esprime esplicitamente nella propria mission un orientamento valoriale e culturale.
Il 43,9% di essi si presenta, dal punto di vista giuridico, come fondazione; il 15,2% come associazione riconosciuta; il 36,4% come associazione non riconosciuta.
Il 60% dei think tank si concentra a Roma, mentre il sud è quasi completamente assente dalla mappa. Milano, Torino e Bologna sono gli altri luoghi di concentrazione dei think tank.
Il 22,4% dei think tank italiani non produce alcuna attività di ricerca, svolgendo di fatto una dimensione di semplice “megafono” del dibattito di policy e di alcuni attori chiave in esso coinvolti; mentre il 19,4% produce almeno 10 prodotti di ricerca annui, che definiamo come indice di produttività scientifica “alto”.
Il 46,4% dei think tank non ha alcun rapporto internazionale, contro il 19,6% che interagisce con almeno 5 strutture non italiane.
Il 41,8% di presidenti, direttori e segretari generali svolge, attualmente, anche attività accademica; il 17,1% attività imprenditoriali; il 2,4% ha un ruolo di governo (lo ha svolto in passato nel 21,1% dei casi); il 26,8% fa vita politica attiva e di “partito”.
Il 21,2% dei think tank non è mai apparso nella stampa italiana nell’anno solare 2011; il 32,7% vi è apparso meno di 10 volte in un anno; il 18,3% ha più di 50 citazioni in un anno.
Il modello di finanziamento è sempre meno legato all’erogazione di denaro pubblico (soprattutto per quelli “storici”, abituati in passato a sopravvivere grazie alle tabelle ministeriali); le grandi aziende italiane – e multinazionali – con interessi strategici tendono a investire su molti fronti, ma con cifre non ragguardevoli; in generale, il finanziamento dei think tank è in evidente contrazione.
Alcune criticità
Tra i punti critici che lo studio mette in risalto, figurano le dimensioni scarse (con qualche gigante); internazionalizzazione a intermittenza; poca ricerca di impatto pubblico; autoreferenzialità del sistema delle relazioni; i think tank inseguono l’agenda, piuttosto che cercare di definirla; la dimensione valoriale e di espressione cultura politica è, spesso, eccessivamente cangiante (un sistema “pret-a-porter” di valori e idee); incapacità di “fare sistema” e frammentazione; scarsità degli investimenti; “revolving doors” con le istituzioni ancora molto debole.
Gli aspetti positivi
Molti i vantaggi derivanti dalla diffusione dei Think tank: l’emersione di una ricerca italiana “policy oriented”, anche con ottimi livelli di specializzazione; la dimensione pluralistica (il lato positivo della frammentazione?); l’emersione di giovani ricercatori policy oriented, con un profilo internazionale “consistente” e capacità manageriali oltre che di ricerca; la nascita di sistemi di auto-formazione della classe dirigente, dell’associazionismo e di altre categorie (un modello fai-da-te, ma indice di reattività); il “ponte” col resto del mondo e l’Europa rappresentato da alcune organizzazioni.