Caro direttore,
approfitto della ospitalità di Formiche.net per provare a condividere una riflessione politicamente scorretta.
Ieri pomeriggio ho letto questo tweet: “Le nuove abitazioni nella nostra capitale Gerusalemme sono veramente più pericolose per il processo di pace del rifiuto dell´ Autorità nazionale palestinese di negoziare la pace e riconoscere Israele?”. Lo ha scritto Ofir Gendelman, il portavoce di Netanyahu. La scelta politica di Israele di andare avanti con gli insediamenti, come segno di protesta nei confronti dell´Assemblea delle Nazioni Unite che la accolto la Palestina come Osservatore, sta provocando reazioni dure soprattutto in Europa.
Quanto accaduto solo pochi giorni fa a New York nel Palazzo di vetro è stato accolto con un misto di superficiale noncuranza e generalizzato sentimento filopalestinese. La scelta del Presidente del Consiglio di votare a favore della risoluzione che consente alla Palestina di mettere piede all´Onu è quindi passata come naturalissima conseguenza della storica posizione italiana. Siamo poi così sicuri che dobbiamo dare tutto per scontato?
Non si tratta, come è evidente, di rivangare un voto già espresso ma di ragionare sulla nostra politica estera e sul ruolo che l´Italia può avere nello scacchiere medio-orientale. Tutta l´area del Mediterraneo e del Nord Africa, fino ad arrivare ai Paesi del Golfo, vive un momento di rivolgimento che va ben al di là delle note Primavere arabe.
Vi sono realtà che si pongono in una condizione di potenza regionale, Turchia e Qatar, per citare due esempi, e ve sono numerose altre in cui si cerca di affermare il principio costitutivo della Sharia (Egitto è solo ultimo in ordine di tempo). In questo contesto, attraversato da forti “turbolenze” (eufemismo), l´Italia può non essere marginale. In passato, abbiamo giocato la carta dell´ambiguità. In passato, però, c´era il muro di Berlino e qualche intemperanza ci veniva concessa.
Il gioco della geografia politica è oggi molto diverso e lo scenario ben più complesso. Il rischio è di perdersi in mille, legittimi, cinismi tipici della ragione di Stato. Con l´effetto però di non produrre risultati positivi. In questo contesto, probabilmente, potrebbe essere utile avere chiaro il quadro delle alleanze strategiche. Usa e Israele sono “amici per caso” o partner occasionali? Con la Russia e con i fondi sovrani arabi discutiamo prevalentemente di business e a quali condizioni?
La cornice europea non aiuta a superare queste difficoltà interpretative, anzi le accentua. La competizione nei mercati è anche dentro i confini dell´Europa e ogni mossa italiana è oggetto di strumentalizzazione (non sempre, ma spesso) da parte degli altri paesi della Ue che cercano di conquistare posizioni, anche a nostro detrimento. Vorremmo fosse diverso, ma per ora è così. Lo stesso voto alle Nazioni Unite sulla Palestina ha diviso l´Europa, non l´ha unito. E in questo senso l´orientamento italiano in coda all´opzione francese non ha, mi pare, sostenuto – come pure era nelle intenzioni del premier – una ricomposizione della Ue.
Tutto questo per dire che neppure il migliore dei governi possibili può farsi carico unilateralmente delle scelte strategiche della politica estera. Su queste serve un dibattito franco nel Parlamento e nel Paese. E´ già di fatto iniziata la campagna elettorale. Bersani ha avuto il merito di esprimere, seppure nei pochi secondi di una intervista televisiva, una opinione precisa (sì alla Palestina).
Tutti gli altri leader politici, presenti e futuri, cosa pensano, cosa dicono? Il silenzio su questioni così centrali nel posizionamento internazionale dell´Italia è veramente mortificante. E´ vero che oggi l´ombra di Monti protegge tutti, ma prima o poi toccherà che anche altri si prenderanno le loro responsabilità. Ma se fosse già troppo tardi?