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Landini meglio di Beretta. Serve un dirigente che scuota le coscienze

Serve un Maurizio Landini (segretario FIOM-CGIL) anche nel calcio tricolore. L’altro ieri l’ho ascoltato con attenzione, durante il suo j’accuse a “Ballarò”, forse anche per la mia precedente esperienza sindacale in banca (quando sono stato rappresentante RSA della Fiba-Cisl) e devo dire che quando in tv ha invitato il Governo a intervenire su Sergio Marchionne, perché torni a investire nel comparto dell’auto in Italia, mi è piaciuto molto. Parole dette con il cuore, da chi di sindacalismo ne capisce.

Ebbene sì servirebbe anche un Landini nel calcio italiano. So che questo paragone può sembrare in prima battuta azzardato quanto rischioso e, invece, è molto più calzante di quanto si possa immaginare.
In un calcio (quello italiano) asfittico, impaludato, serve una persona alla Landini che possa scuotere le coscienze e ogni tanto dare uno scossone mediatico per farci capire che siamo vivi.
Ormai da tempo, in Lega c’è Maurizio Beretta. E’ il presidente della Lega calcio; doveva innovare, ma, al momento, anche lui è rimasto triturato dai veti incrociati dei piccoli/medi club che possono bloccare numericamente qualsiasi decisione (in un senso o nell’altro).
Di questo non ha assolutamente colpa, era così anche prima del suo arrivo.
Però, devo dire che mi sarei aspettato qualche suo intervento di peso (anche perché non è affatto una stupido, anzi) e, invece, alla fine, è scomparso nelle “brume” della Lega serie A o di via dell’Umiltà, perché non tutti lo sanno ma è anche direttore comunicazione del gruppo Unicredit, quello stesso gruppo che al 40% partecipa la nuova A.s. Roma degli americani. Un piccolo conflitto d’interesse, non fosse altro perché è presidente della lega e non un semplice componente,
ma tant’è, tutti lo sanno e sta bene a tutti.
Evidentemente questo Paese è diventato il simbolo del menefreghismo.
E allora ben vengano i Landini, che dimostrano, invece, di voler rompere gli schemi, in un Paese dove gli schemi sono solo su carta, e le partite si vincono ancor prima di giocarle. Avremmo voluto un Beretta più decisionista, che sbattesse i pugni sul tavolo di Berlusconi o Monti, sul tavolo della Lega, che fosse capace di fare sistema e magari, perché no, di attrarre nuovi investitori
o almeno di spingere per far approvare una legge, quella sugli stadi, di cui (forse) se ne occuperà il nuovo governo di sinistra (o quello che sarà).
Insomma un’altra occasione persa, non certamente per Maurizio Beretta, che, alla fine, grazie al calcio, è diventato più famoso di quando era nostro collega e lavorava in Rai. Magie del calcio, che tanto dà ai suoi dirigenti, ma che, invece, tanto poco riceve da tutti.
Non me ne voglia Beretta, però, in questo calcio il “re è nudo” da tempo. E’ solo una questione di volerlo o non volerlo vedere nudo.

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