Caro Presidente Monti,
le scrivo da anziano cinquantenne, desideroso di spiegarle la mia Agenda, se fossi uomo di un Centro, un Centro che ancora non c’è.
Come me la immagino questa forza di Centro? Una forza di Centro, che si caratterizza per la sua capacità di conciliare esigenze moderate liberiste da un lato e esigenze sociali progressiste dall’altro, portandone il meglio a fattore comune, come dovrebbe porsi di fronte alla cosiddetta Agenda Monti, con che prospettiva la dovrebbe valutare?
Semplice, con spirito einaudiano, ovvero liberale e protezionista allo stesso tempo. Non liberista ma liberale, attento sì alle libertà di scelta ma in un contesto in cui il libero scambio non sia il frutto di posizioni contrattuali sproporzionate a tal punto da far apparire come costretta la volontà di alcune delle parti.
Non progressista, ma protezionista, capace cioè di individuare quelle figure sociali in questo momento particolarmente bisognose di sostegno attivo, e volto a proteggerle: così come un buon padre di famiglia protegge i suoi figli e al contempo sostiene la loro libera volontà di esprimersi, così deve fare un buon governo di Centro.
C’è dunque da rallegrarsi, per esempio, che l’Agenda Monti parli di quote rosa, strumento utilissimo per venire incontro alle tante discriminazioni di genere che ancora affliggono il nostro Paese, riducendone il potenziale di sviluppo.
Eppure rimaniamo basiti di fronte all’indifferenza che il programma pone sulle altre due grandi discriminazioni che un Centro forte e volenteroso dovrebbe porre… al centro della sua agenda: giovani e piccole imprese.
Sono due “ceti sociali” che tra l’altro, malgrado le buone intenzioni, sono stati sradicati di fronte alla tempesta dell’austerità, come giovane piante le cui radici avrebbero dovuto, appunto, essere salvaguardate da un buon giardiniere, al fine del loro irrobustimento e crescita. Mi consenta di spiegarmi.
Il programma su scuola e università, una magra paginetta su 25, non tiene conto che la sfida globale dovrà essere raccolta dai nostri giovani, ma solo se aiutati: grazie a strutture non più fatiscenti dove studiare (come mai il suo governo non ha mai fornito al pubblico, malgrado l’enfasi dell’Agenda sulla “trasparenza assoluta della pubblica amministrazione”, i dati sullo stato degli edifici scolastici e le necessarie spese per riportarlo a norma di minimale sicurezza, efficienza ed efficacia?), a meccanismi credibili per permettere a ultimi e penultimi di talento di essere rapidamente identificati e protetti e sostenuti (malgrado l’inutile dannarsi del suo sottosegretario Rossi Doria, cosa ha il suo governo da appuntarsi al petto come medaglia su ciò?), a meccanismi virtuosi per premiare e proteggere i nostri talenti ricercatori per farli rientrare (sono 12, 12!, le righe sull’università nel suo programma, righe totalmente prive di progettualità forte) riorganizzando le università attorno ad atenei di ricerca e insegnamento avanzati, da premiare con una quota parte rilevante dei fondi disponibili, come si fa dappertutto in Europa.
Ma i giovani non devono rimanere sui banchi per tutta la loro vita: vogliamo le loro energie a disposizione del Paese appena possibile, compatibilmente con la piena espressione del loro talento. Di fronte a una disoccupazione giovanile così alta che questa austerità recessiva ha “dovuto” generare, che risposta diamo a migliaia e migliaia di giovani che poca responsabilità hanno di questa mancanza di dinamismo imprenditoriale e progettuale in cui si trovano?
Perché non rispondere alla sfida, come in Francia, con un servizio civile temporaneo e non ripetibile, che dia loro coraggio e competenze rispetto allo stato di buio attuale in cui versano? Su questo un Centro che si rispetti chiede all’Agenda Monti di abbandonare la timidezza che lo attanaglia e di discutere piuttosto dove trovare le risorse per evitare questo Grande Spreco.
Le Pmi, il nostro tesoro che altro non è che la leva per la crescita che sostiene tutto il resto, come possono pensare di sopravvivere in un ambiente come quello che il 2012 ha solo reso più soffocante? Come non pensare che la priorità debba divenire l’immediato pagamento dei ritardati pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni senza “se” e senza “ma”?
Come non dirle, Presidente, quando esclama che “per contare nell’Unione europea non serve battere i pugni sul tavolo” che no, non è così, che se li avesse battuti un po’, ma solo un po’, Merkel avrebbe immediatamente consentito a che il livello del debito pubblico italiano valido ai fini statistici fosse valutato al netto del nuovo debito emesso per ottenere la liquidità per ripagare i debiti commerciali dovuti dallo Stato alle imprese italiane?
E come non rimanere basiti davanti l’assenza di un qualsiasi riferimento a una immediata attuazione della bellissima legge dello “Statuto per le imprese” che richiede di effettuare una regolazione non costosa, specie per le piccole? Un governo che non è riuscito nemmeno a rispettare i termini per la presentazione della nuova “legge annuale per la tutela e lo sviluppo delle micro, piccole e medie imprese volto a definire gli interventi in materia per l’anno successivo” (scaduti a giugno), non dovrebbe sentire il desiderio di recuperare su questo tema i suoi ritardi?
E che dire del fatto che nessuna menzione è fatta del ruolo che si potrebbe riservare alle piccole imprese nel mondo degli appalti pubblici, come da 60 anni fanno gli Stati Uniti?
Ma lei è proprio certo, sempre per parlare di protezione, che il nostro patrimonio debba essere venduto piuttosto che utilizzato per far fronte a quella scandalosa violazione dei diritti umani che ogni giorno avviene nelle nostre carceri disumanamente sovraffollate? E perché come nel Regno Unito non riservare questi immobili alle giovani imprese per abbattere i loro costi di avviamento dell’attività? Non meritano protezione? Secondo un Centro moderno, certo.
Chi tiene alla protezione dei più deboli non può rimanere soddisfatto dall’Agenda Monti così come elaborata. Ma altrettante perplessità le suscita a chi, liberale, chiede che sia data piena spinta propulsiva alla crescita economica.
Certo, l’enfasi sullo spostamento del carico fiscale sulle imprese è condivisibile ed opportuno, così come va apprezzata l’attenzione ad una tassazione sui consumi che non danneggi i ceti più deboli. Ma un Centro liberale rifiuta l’equazione da lei menzionata, Presidente, che “la crescita si può costruire solo su finanze pubbliche sane” e piuttosto afferma forte e convinto che “conti pubblici sani si possono costruire solo sulla crescita”.
Non siamo noi a dirlo, sono i numeri di quest’anno inutilmente austero e recessivo che ha fatto saltare i conti pubblici tanto da portare per il 2014, la stima debito Pil secondo l’Ocse, per la prima volta dagli anni trenta, a posizionarsi sopra il 130%.
Se l’economia muore per austerità crollano le entrate fiscali e salgono deficit e debito, come sta avvenendo. Certo poi si può sempre reagire a crescenti cali delle entrate con maggiori imposizioni, facendo sembrare tutto uguale a prima, ma con un carico fiscale che sfugge di mano, ammazzando per sempre chi ricchezza per il Paese dovrebbe generare.
L’austerità nutre le aspettative e con essa i piani per il futuro, specie gli investimenti. Ora che tutti danno per probabile l’estensione della recessione fino al 2014, che tipo di speranza vogliamo dare al Paese per il 2015? Non quella dell’Agenda Monti, ci perdoni Presidente, quando ci sconvolge con la seguente affermazione: “Ridurre a partire dal 2015 lo stock del debito pubblico in misura pari a un ventesimo ogni anno, fino al raggiungimento dell’obiettivo del 60% del Pil”.
Caro Presidente, lei è un esperto di Europa e sa bene che il Fiscal Compact, altro tema su cui certamente un po’ di più i pugni sul tavolo avrebbe potuto batterli, non chiede la riduzione dello stock del debito pubblico ma del suo rapporto con il Pil. Il che significa che a priori hanno stessa rilevanza i fattori che riducono il debito (compresa la crescita!) e quelli che aumentano la crescita.
La sua ansia di comunicare una ulteriore austerità cozza contro i Trattati e contro l’esigenza di dare una speranza “spirituale” e “programmatica” alle tante imprese e famiglie che oggi stanno decidendo quando effettuare i loro investimenti o come e se risparmiare. Come pensare che li facciano, gli investimenti le imprese, se dal 2015 mettono in conto un 5% di Pil annuale (80 miliardi) di maggiori tasse e minori spese che generano ulteriore recessione? Le chiederemmo, come liberali di un partito di Centro, di usare il Fiscal Compact come strumento di crescita e non di austerità come innegabilmente fatto sinora con esiti disastrosi.
Non possiamo che congratularci, da liberali, per la sua richiesta di una spending review che funzioni. Ma se spending review come dice lei non “vuol dire solo meno spesa ma migliore spesa”, allora Presidente, come giustifica i tagli lineari di quest’anno che così tanta recessione, così tanta disoccupazione, così pochi servizi sociali, hanno generato? E che metodologie vuole mettere in piedi per individuare tali sprechi, che ammontano a circa il 3% di Pil? E cosa vorrà fare Presidente di questo 3%? Ridurci di una briciola il debito o piuttosto avviare un nuovo Rinascimento delle Infrastrutture del Paese per sostenere la competitività delle nostre imprese come avviene negli altri grandi Paesi del mondo, senza un soldo in più di deficit pubblico: scuole, territorio, patrimonio artistico (Presidente la nostra Pompei è insanguinata dal disinteresse di tanti governi che si sono succeduti, lo sa?), carceri, ospedali? Utilizzarli per rendere possibile come in Francia di ottenere crediti d’imposta per spese in ricerca e sviluppo o solo per mostrare saldi finanziari in miglioramento che ogni anno non vengono raggiunti per il danno che hanno sull’economia?
Le nostre aziende migliori muoiono con la corruzione. L’enfasi sulla corruzione è dunque apprezzabile, tanto quanto quello delle lotte alle Mafie, e non va abbandonata. Per questo sarebbe opportuno rafforzare, spendendo maggiormente tramite il taglio degli sprechi, per le nostre forze investigative, a cominciare dall’Autorità Anti Corruzione lasciata senza una lira per avviare la sua attività.
Ma c’è di più. Pensare che le nostre stazioni appaltanti siano dominate da individui corrotti è fare ingiustizia alla natura umana. Le nostre pubbliche amministrazioni sprecano molto di più per incompetenza che per corruttela, così ci dicono studi internazionali di grande valore. I grandi Paesi a cui amiamo paragonarci investono ampiamente sulle competenze del settore pubblico, selezionando i migliori, riservandogli stipendi più alti, specie se in ruoli strategici come quelli degli acquisti pubblici che occupano più del 12% del prodotto interno lordo. Attendiamo dal suo programma un segnale che investire nella lotta agli sprechi fa bene, una lotta fatta con ben altri strumenti di quelli usati sinora. E’ più facile che combattere la corruzione, la lotta per le competenze? E allora investiamo e così facendo sconfiggeremo anche la corruzione: ad oggi Presidente non sappiamo ancora chi compra cosa quando, basterebbe una piccola spesa, spesa che il suo Governo non ha mai autorizzato, per acquistare e costruire una piattaforma unica dove far passare i dati degli appalti. Senza questa spesa non è possibile bloccare oggi chi spende più di un altro per comprare lo stesso bene. L’avremmo potuto fare in due secondi, non è stato fatto. Nella Sanità pervasa da collusioni, un centro liberale non si limiterebbe a ricordare l’esistenza dell’Antitrust, ma si impegnerebbe a finanziarla affinché possa avere il personale necessario per individuare e sanzionare i cartelli e così facendo deprimerli ed ottenere significativi risparmi. Ma se non scommettiamo sulle nostre istituzioni, se non le rafforziamo nel loro prestigio e credibilità, e ciò avviene solo spendendo qualche briciola per esse, nulla può avvenire.
Le nostre istituzioni per la crescita partono dall’università, a cui la sua agenda, lo ripetiamo, dedica 12 righe. Un liberale come Einaudi che un Centro che si rispetti vorrebbe oggi aver a capo della coalizione troverebbe fondi per l’Università. Perché, come disse Einaudi:
“Poiché in Italia gli studenti universitari dagli attuali 150 mila circa dovranno in qualche decennio giungere al milione, sarà d’uopo, senza gonfiamento di quelli esistenti, crescere gradualmente il numero degli istituti universitari dai 20 o 30 attuali a 50 e poi a 70 e poi a cento e più. Né, con un milione di studenti e con cento istituti universitari crescerà la disoccupazione falsamente detta intellettuale; anzi diminuirà, perché non si è mai visto che il possesso del sapere – cosa ben diversa dal possesso del pezzo di carta – cresca la difficoltà di trovar lavoro.”
Ecco, Presidente, io un Centro me lo immagino così: che scommetta sulla speranza, sulla solidarietà, sull’impresa, specie piccola, sui giovani, sul buongoverno. A queste condizioni, che noi che ci ritroviamo in queste parole poniamo a lei, saremmo desiderosi di sapere se verrebbe con noi.
Altrimenti, Presidente, grazie, ma preferiamo altro.