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Tobin Tax all’italiana. Ovvero quanto siamo masochisti

Pubblichiamo il commento di Roberto Sommella, condirettore di MF/Milano Finanza, comparso sul numero di oggi del quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi. Formiche.net ringrazia Magnaschi e Sommella per aver autorizzato a pubblicare il commento.

L’Italia è un grande Paese fondatore dell’Europa ma si ha l’impressione che quando si tratta di ratificare vincoli comunitari prenda strade masochistiche dimenticandosi il suo vecchio ruolo. L’ultima operazione in cui Roma si è dimostrata più realista del re è quella sulla Tobin Tax, in votazione in questi giorni al Senato.

Nell’ultima versione dell’emendamento del governo, nel salvare sostanzialmente le banche dal prelievo creando anche problemi di gettito, si prepara un mini-salasso sui derivati che potrebbe spingere molti operatori e clienti a lasciare addirittura la piazza finanziaria milanese.

Certo, questi strumenti sono alla base di alcuni sconquassi della finanza internazionale, ma in genere esistono da sempre in un mercato globalizzato e non sono il diavolo né il detonatore delle speculazioni che hanno colpito duramente i titoli di Stato negli ultimi 18 mesi.

Nulla ancora si è fatto per arginare invece le vendite di Btp sul mercato secondario, quelle sì spesso alla base dell’innalzamento dello spread. Ma il peggio è che, rispetto alla Francia e alla Germania, il Belpaese, con la scusa che c’è da ratificare un accordo con Bruxelles, sarà presto il solo partner, assieme alla Francia che già l’ha adottata, ad avviare la Tobin nel 2013 su questi prodotti. A Berlino, dove si sono guardati bene dal varare subito la tassazione delle transazioni finanziarie, hanno buttato la palla in corner e si apprestano a fare altrettanto altri Paesi che pur hanno sottoscritto l’impegno. Se ne riparlerà tra qualche anno.

Come in Spagna e in Francia si parlerà solo dal 2014 di pareggio di bilancio, quando invece il governo Berlusconi e ora quello guidato da Mario Monti hanno mantenuto la barra dritta sul 2013, come da impegni con la Bce. Peccato che non siano riusciti, a meno di correzioni dell’ultima ora, a ratificare prima della fine della legislatura il disegno di legge che lo concretizza per una mera questione di poltrone da assegnare nell’organo che dovrebbe controllare i conti pubblici.

Se si aggiunge a questo il Fiscal compact, che comporterà la riduzione del debito pubblico di 45 miliardi l’anno, approvato in sordina pochi mesi fa al Senato e che per illustri giuristi come Giuseppe Guarino sarebbe addirittura non in linea con il Trattato di Maastricht, il quadro è completo. Qui non si tratta di essere anti-europeisti ma di badare anche agli interessi nazionali, come sanno fare benissimo francesi, tedeschi e spagnoli. L’Italia è più rigorista della Germania (che ha anche incassato ieri un accordo sulla vigilanza bancaria Ue a sua immagine e somiglianza) ma continua ad avere l’ingiusta nomea della cicala. E pazienza se queste decisioni affrettate allontaneranno miliardi di possibili investimenti in borsa mantenendo il Paese in recessione. Da Paese fondatore rischiamo di diventare paese auto-affondatore di se stesso.

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