Pubblichiamo grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore il commento di Roberto Sommella comparso oggi sul quotidiano MF/Milano Finanza.
Ci sono tre contatori che nonostante la crisi in Italia non smettono di girare: il debito pubblico, la pressione fiscale e l’onere per la partecipazione ai vari fondi salva-Stati. Se per la questione fiscale occorrerà capire che cosa vogliano fare davvero su questa materia i partiti che si contenderanno la leadership il prossimo 24 febbraio, è scandaloso il silenzio di Berlusconi, Bersani e Monti sul motivo vero per cui si è giunti a questo punto della recessione.
L’indebitamento montante dello Stato ha raggiunto a novembre l’astronomica cifra 2.020,7 miliardi, già 6 in più rispetto al mese di ottobre, 2 in più di quanto costerebbe, per dare un’idea, eliminare l’Imu sulla prima casa, il 126% in prospettiva del pil.
In un pugno di giorni, mentre i politici in campagna elettorale si accapigliavano sulle modalità per ridurre o cancellare del tutto l’imposta immobiliare, il debito pubblico si è mangiato un’altra piccola fetta di sovranità senza che nessuno se ne accorgesse, in quasi un anno è cresciuto di 113 miliardi e gli interessi da pagare superano gli 85 miliardi.
Che fine hanno fatto i progetti del premier Monti e del ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, di vendere asset dal patrimonio dello Stato (che pure è di almeno 3.800 miliardi) per un punto di pil, quindi circa 15 miliardi? Che fine hanno fatto i vari Fondi costituiti da Via XX Settembre con l’Agenzia del Demanio per avviare la valorizzazione e poi la cessione di immobili e delle immancabili caserme?
Le risposte e le azioni sono sparite dai radar. E a poco serve accontentarsi del programma del Cavaliere di ridurre di 400 miliardi il debito pubblico (progetto lanciato con poca convinzione mesi fa dal segretario del Pdl Angelino Alfano) o della convinzione di Pier Luigi Bersani e del Pd che bastino l’avanzo primario e l’andamento dei flussi e dell’inflazione per diminuire, goccia dopo goccia, il debito pubblico più pesante dei Paesi occidentali.
Si ha la sensazione che, visto il calo dello spread, questo tema che pesa per 33 mila euro su ogni italiano sia diventato minore, quando non lo è affatto. Il debito pubblico è figlio sì di decenni di mala gestione delle finanze pubbliche ma anche di una spesa statale che continua a essere la metà del pil. Un camino vorace dove vanno a finire tutte le timide riduzioni di spesa di Enrico Bondi e gli oltre 340 miliardi di tasse pagate nei primi 11 mesi del 2012.
A ciò si aggiunge la beffa degli accordi con l’Europa, che andranno ovviamente rispettati. Il Fiscal Compact comporta sulla carta una riduzione di 45 miliardi del debito l’anno, il salvataggio della Grecia è già costato all’Italia quasi 30 miliardi, ma alla crescita del debito, ha reso noto la Banca d’Italia, ha contribuito per altri 23 miliardi la quota di spettanza per la partecipazione ai Fondi di salvataggio europei, Efsf e Esm in primis (e diventeranno 63 nel 2014). Un dato che rende ancora più amaro e inutile essere il terzo contribuente netto del bilancio europeo e uno dei padri fondatori dell’Unione. Senza il taglio del debito non c’è programma economico che tenga, senza riduzione della spesa, l’Europa e i suoi vincoli sono solo un cappio al collo dell’economia.