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Ecco come il Fmi di Blanchard sbugiarda Giavazzi e Alesina sulla bontà dell’austerity

Così arriviamo a Blanchard ed al suo studio, assieme a Daniel Leigh, sull’impatto dell’austerità su Pil ed occupazione. Che affronta con un qualche coraggio la critica rivolta al Fmi che quando questo ha stimato gli impatti dell’austerità ha sottostimato sistematicamente l’impatto recessivo di questa su Pil e disoccupazione.

Il sospetto che i due hanno voluto verificare è che gli errori nelle previsioni Fmi di (de)crescita dopo misure austere provenisse dai loro modelli econometrici che non hanno incorporato durante la crisi un moltiplicatore sufficientemente alto.

Un po’ come il nostro ministero dell’Economia e delle finanze che da qualche anno a questa parte, a seguito delle sue politiche di austerità, deve poi costantemente rivedere le sue stime sulla crescita, rivedendole drammaticamente al ribasso.

Ecco cosa scoprono di incredibile Blanchard ed il suo coautore (tenetevi forte):

1. Se l’austerità attesa aumenta di 1% di Pil, nella crisi del 2010-11, il Pil cade di circa 1% in più di quanto non già previsto: “Un’interpretazione naturale di questo risultato è che i moltiplicatori impliciti nelle previsioni erano sottostimati di 1 unità”. Ovvero, se come poi racconta Blanchard, il Fmi ha usato in questa crisi un moltiplicatore di 0,5, quello vero era 1,5. Non bazzecole, come errore;

2. I risultati sono sorprendentemente robusti: non dipendono dai cosiddetti casi estremi (come Germania e Grecia), né dipendono dal considerare solo i Paesi euro o anche altri Paesi europei. Se però si inseriscono i dati di Paesi non in una crisi estrema come la nostra i risultati spariscono, a conferma che è in Europa Oggi che stiamo vivendo un momento eccezionale in cui particolarissima cura va adottata nel fare politica fiscale intelligente;

3. Mah, forse, mi direte, forse non è tanto che si è sottostimato l’impatto dell’austerità sulla crescita, ma di qualche altra variabile? Forse è l’alto livello del debito pubblico sul Pil che spiega perché la crescita è stata più bassa del previsto? Macché. Spiacenti per i declinisti del debito che pensano di salvare il Paese vendendo immobili: l’effetto dell’austerità permane, debito alto o debito basso.

4. C’è poi un passaggio che mi delizia nel lavoro di Blanchard e soci: un esempio che fanno. Che calza a pennello per il caso italiano. Loro non lo riferiscono all’Italia, lo dicono in generale, ed io ve lo riporto: “Per esempio, un aumento degli spread potrebbe anche essere il risultato di una crescita inferiore a quella attesa e anche causa di minore crescita. In tal caso, una crescita economica inferiore a causa dell’austerità potrebbe generare un aumento degli spread, e tali aumenti di spread potrebbero, a loro volta, ridurre ulteriormente la crescita del PIL”.

Wow. Avete mai pensato a ciò? Che tutte le manovre austere che abbiamo fatto potrebbero avere fatto aumentare lo spread e con ciò peggiorare ancora di più la crescita? Il Fmi ci ha pensato.

5. Continuiamo, la cosa si fa sempre più interessante. Dove sono stati maggiori gli errori? Nel valutare gli effetti della spesa pubblica o delle tasse? Errori da ambedue le parti, ma maggiori … sul sottostimare il peso negativo del tagliare la spesa pubblica. Insomma al Fmi non hanno usato modelli à la Alesina e Giavazzi che dicono che tagliare la spesa pubblica fa bene, per fortuna (avrebbero commesso errori ancora più giganteschi), ma anche usando modelli normali non hanno resistito a sottostimare la gravità del tagliare la spesa pubblica in una crisi eccezionale come questa.

6. Ma quando aumenti le tasse e diminuisci la spesa pubblica la recessione si … moltiplica appunto, via taglio dei redditi (le imprese non partecipano più agli appalti che sono stati cancellati, non si pagano le imprese, che smettono di investire, queste non pagano i dipendenti, che smettono di consumare…). Dove ha fatto più male l’austerità inaspettatamente? 4 volte più sul taglio degli investimenti che sul taglio dei consumi. E poi: molto più del previsto sulla disoccupazione e sulla domanda interna.

Insomma, povero Keynes, sempre così poco ascoltato a Washington.

Ora, lo ripeto, quando voterete questa o quella coalizione, per favore, chiedetegli, al leader: quale pensa sia il moltiplicatore della spesa pubblica in questa drammatica recessione? E cosa intende fare al riguardo? Se vi risponde: ancora austerità, saprete cosa fare. Spero. Ne sono certo.

(sintesi di un’analisi più ampia che si può leggere qui)

 

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