Skip to main content

“Girlfriend in a coma”. Il film scomodo di Emmott sull’Italia

Si chiama “Girlfriend in a coma”, ovvero “Fidanzata in coma”, come una canzone del 1987 degli Smith, ma qui la musica pop c’entra poco: questo è un film-documentario girato in inglese dall’ex direttore dell’Economist, Bill Emmott, e da Annalisa Piras, giornalista italiana residente da molti anni a Londra, che racconta la crisi profonda, politica, morale e civile prima ancora che economica, in cui versa oggi l’Italia. Alla vigilia di elezioni politiche dal cui risultato dipende se il Paese si sveglierà, come sperano gli autori, o se diventerà irreversibile.

E forse proprio per questo, perché in periodo elettorale drammatizza la crisi, punta il dito contro il berlusconismo ma non risparmia critiche alla sinistra, sollecita un risveglio morale che può disturbare molto politicamente, si tratta di un film “scomodo”, che nessuno vuole distribuire proprio nel Paese che racconta.

Dopo due anteprime anglosassoni a Londra e a New York, il film è stato presentato in anteprima europea “continentale” ieri sera all’Istituto italiano di cultura di Bruxelles, con grande successo di pubblico: 400 persone lo hanno lungamente applaudito e ne hanno discusso poi in un dibattito con gli autori. In Italia arriverà il 13 febbraio, proiettato al Maxi di Roma. Poi non si sa. Si pensava che almeno una rete Tv nazionale sarebbe stata interessata, ma “finora abbiamo trovato solo porte chiuse”, ha detto Annalisa Piras.

Bill Emmott è il direttore responsabile di due delle copertine più famose dell’Economist: quella in cui dichiarava Berlusconi “unfit” (inadeguato) a governare, e quella con l’immagine della Penisola come il malato d’Europa. Ma oggi, ha sottolineato Emmott, l’Italia è peggiorata, non è più solo malata, è proprio in coma. E il suo film è un richiamo agli italiani perché sveglino il proprio paese, tanto amato all’estero, prima che torni a essere un paesaggio di rovine, avvolto in una nostalgia struggente per la gloria passata, come ai tempi del “Grand Tour”. Un’economia che ha un potenziale enorme e che potrebbe essere, com’è stata in passato, vitale, dinamica e creativa, ma che rischia la paralisi e il ripiego su un’unica risorsa, il turismo estero.
Il film di Emmott e Piras è diviso in due parti, la “Mala Italia” e la “Buona Italia”, con un chiaro richiamo al libro dell’ex direttore dell’Economist, ‘Good Italy, Bad Italy’. Belle le interviste, fra gli altri, a Nanni Moretti, Umberto Eco, Saviano, Carlo Petrini, Travaglio, al direttore della Stampa Mario Calabresi, al magistrato antimafia Nicola Gratteri, a Giuliano Amato e a Mario Monti.

Nella “Mala Italia” ci sono le mafie, l’assenza di meritocrazia che costringe i migliori a emigrare, i politici corrotti, il terrorismo degli anni ’70 e la strategia della tensione, il “capitalismo cattivo” dell’Ilva di Taranto che costringe a scegliere fra avvelenamento e disoccupazione, la Tv volgare di nani e ballerine. E poi una discesa nel (vero) pozzo di San Patrizio, in cui si incontra, come nei gironi dell’inferno dantesco, l’Italia agli ultimi posti in una serie impressionante di classifiche mondiali: corruzione, libertà di stampa, crescita del Pil negli ultimi anni, donne nei posti di potere, giovani laureati.

La “Buona Italia” è quella di Dante e della Basilica di Santa Croce, della passione civile e della bellezza di un patrimonio artistico senza pari al mondo; è il Paese di Falcone e Borsellino, dei giovani che si ribellano alla Mafia, del palazzo calabrese sequestrato alla ‘Ndrangheta in cui vive, guidata da un prete coraggioso, una comunità di disabili; sono le donne di “Se non ora quando?” che manifestano per la dignità loro negata in tanta parte della società nazionale.

E’ il paese delle aziende che continuano a produrre qualità, che “sa fare le cose nuove che piacciono al mondo”, come diceva Carlo Cipolla. Ed è l’impresa sociale di Giovanni Ferrero, e del successo mondiale del suo marchio. Emmott, con una scelta che non mancherà di suscitare controversie, mette nel “capitalismo buono” anche l’ad di Fiat, Sergio Marchionne, perché, ha spiegato, “sta cercando di salvare un’azienda che era quasi fallita, per non aver voluto affrontare la globalizzazione”.

×

Iscriviti alla newsletter