Vista da Strasburgo, la mattanza di Palazzo Grazioli assomiglia ad un’ordalia barbarica verso la quale l’Europa non può che nutrire un profondo disgusto.
In nessun Paese dell’Unione, mi fa osservare tra il divertito ed il preoccupato, un deputato baltico con cui m’intrattengo cercando di spiegargli i titoli dei giornali italiani, è mai accaduto nelle procedure per la formazione delle liste per il rinnovo del Parlamento quel che sta accadendo in casa del Pdl, partito – per inciso – aderente al Ppe. Il mio interlocutore, che aveva raccolto da altri colleghi gli umori politici dominanti in Italia, fa fatica a capire in base a quali valutazioni siano stati esclusi dalle liste parlamentari che lui conosceva benissimo, membri del Consiglio d’Europa stimati ed apprezzati. E mi chiede quali siano i criteri che ispirano il “signor Berlusconi” (proprio così) nella compilazione delle liste elettorali. Non so che cosa rispondere. Un’idea ce l’ho, ovviamente, ma per carità di patria me la tengo per me.
Qui a Strasburgo, innevata e perciò ancor più suggestiva, gli echi della suburra politica romana arrivano attutiti. Nei corridoi del Palais de l’Europe i parlamentari che incontro, molti dei quali conosco da oltre un decennio, sembra che mi guardino con una certa compassione. Non mi sottraggo al loro sguardo, li saluto e la cordialità che mi dimostrano fuga le perplessità che mi accompagnano da quando ho messo piede nell’Assemblea del Consiglio. Ma so che al di là del personale apprezzamento ridono di quell’Italia dove s’intrecciano drammi personali sul palco di un teatro che rimanda sinistre ombre ad una comunità politica continentale già diffidente e disorientata nei nostri confronti. È un partito, quello che doveva fare la “rivoluzione liberale” che che in questi giorni trasmette l’immagine di un suk chiassoso e volgare ad osservatori internazionali che si chiedono come abbia potuto perdere il residuo ritegno che gli era rimasto.
Come faccio a spiegare chi sono gli “impresentabili” che si vogliono ripresentare a tutti i costi alle elezioni? Cosa gli dico a chi mi chiede come sia possibile che una piccola oligarchia decida della vita e della morte politica di questo o di quello, meritevole magari di essere riconfermato, senza una oggettiva motivazione? Perché, mi domandano, si sta dissolvendo il centrodestra (che traduco con la definizione di “movimento conservatore” per far capire ad estoni, lituani, britannici, azeri, portoghesi, serbi, sloveni, cechi e moldavi di che cosa si tratta) in una guerra senza quartiere tra bande che a tutto assomigliano tranne che a soggetti politici?
Ecco, sono qui, davanti alla Cattedrale per antonomasia, la più bella d’Europa, simbolo di una civiltà viva nonostante tutto, e faccio miei, dolorosamente, gli interrogativi del “buoni europei” i quali, per quanto frastornati, amano l’Italia di un amore intenso, sincero, entusiasta. E non vorrebbero vederla ridotta ad una misera appendice medioevale di potentati che si contendono i brandelli della Penisola, come accadeva in un tempo lontano.
Lo spettacolo osceno delle candidature del Pdl – ma non dimentichiamo che sia pure in forme diverse e meno clamorose anche altri partiti e schieramenti hanno dato prove significative della loro decadenza – va oltre il mero dato politico che qualifica un partito che ha deciso tanto tempo fa di suicidarsi. Esso esprime, ben al di là di ogni pur fervida immaginazione, l’inquinamento morale di cui è capace una classe politica quando non produce più idee, ma soltanto risentimenti, rancori, giustificazioni alla bramosia del potere rinnegando se stesso, le sue origini, le sue radici.
Qui, nel cuore d’Europa, ci si sente più soli come italiani devastati dallo stridulo grido di un potere morente. Mentre altrove, pur senza gioia in questi tristissimi tempi, si nutre comunque la speranza di domani che potrebbero tornare a cantare. Da giorni in un Palazzo nel centro di Roma si rinnovano rituali tribali che, a prescindere dalle appartenenze, dovrebbero indurre chiunque a ribellarsi. Soltanto perché italiano.