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La pagella (economica) degli ultimi governi

Mi ero ripromesso di parlarvi di ben altra analisi economica sulle politiche fiscali di questo ultimo decennio: quella svolta da un attore importante di quegli anni, direttamente coinvolto, come viceministro del Ministero dell’Economia nel quinquennio berlusconiano 2001-2006, Mario Baldassarri sul Corriere.

Io che in quegli anni gli ero molto vicino anche sul piano lavorativo mi ricordo di quando elaborò il primo ed unico Dpef di quel Governo che risentisse di una forza ideale. Ero lì accanto a lui quando scrisse “-1% di Pil ogni anno di spesa e tasse, per 5 anni”. Una piattaforma vincente. La riduzione della spesa? Riduzione di sussidi alle imprese e soprattutto di spesa per acquisti di beni e servizi. E poi andai magicamente in Consip, grazie al suo sostegno, e la mia vita cambiò per sempre. Ma perdemmo su tutti i fronti. Lui contro Tremonti, io fui gentilmente non rinnovato dopo un triennio di presidenza. Ma, come sempre, l’importante non è vincere, è avere combattuto, prendendone e dandone. E Dio sa se combattemmo. Anni incredibili, anni formativi oltre ogni misura, anni indimenticabili, anni di amici veri che ci sono ancora, tutti a credere, da allora, che una pubblica amministrazione efficiente sia a portata di mano. Se solo …

Ecco, il Baldassarri di allora ragionava così, come fanno i Viaggiatori oggi nel loro programma: in percentuale di Pil, non in euro. Tagliare o aumentare di 1 euro le tasse vuol dire poco, se si vuole capire la qualità di una politica economica. Dipende da quanto più ricchi o più poveri sono diventati gli italiani nel frattempo. E quindi quell’euro va rapportato alla capacità contributiva di pagare le tasse, ovvero dal Pil e dal suo andamento. Così per la spesa pubblica. Una cosa è spendere 10 euro in un Paese che ha un Pil di 10 euro, una cosa in un Paese che ha un Pil di 100 euro. La spesa pubblica, la dimensione dei servizi pubblici che vengono forniti ai cittadini, ha un senso misurarla solo rispetto alla capacità delle imprese e dei cittadini di generare ricchezza alla quale si accompagnano, appunto, i consoni servizi sociali per il tenore di vita prevalente in quel Paese. Ha poco senso un pc per dipendente pubblico in un Paese in cui nessuno ha un pc, molto di più in Italia.

Oggi Baldassarri però non ragiona più in percentuale di Pil, ma in euro. Ora schierato con il Governo Monti, giustamente fa il suo mestiere di politico e cerca di mostrare con dovizia di argomenti che Monti è stato – tra i premier di questo secolo – il meno invasivo quanto a tasse e spesa:

“Il centro destra di Berlusconi-Tremonti (dal 2001 al 2006 e dal 2008 al 2011) ha aumentato le tasse … di 22 miliardi l’anno… e la spesa pubblica di 26, … Prodi e Padoa Schioppa (dal 2006 al 2008) … di 26 miliardi … e la spesa pubblica di 14,5, nell’anno del governo Monti … di 20 miliardi … e la spesa pubblica di 7 miliardi”.

Conclude: “E’ allora ancor più demagogico e privo di fondamento numerico attribuire ai 12 mesi del Governo Monti la forte caduta del reddito e dell’occupazione che stiamo soffrendo. Questa grave situazione non si è prodotta in un anno ma, purtroppo per tutti, è il risultato di oltre 10 anni di mancate riforme strutturali”.

Non c’è dubbio che sia demagogico attribuire a Monti la colpa della crisi di lungo periodo in cui versa il Paese. Meno demagogico attribuirgli una buona dose della forte caduta del reddito e dell’occupazione attuale, una volta inserite queste nel contesto europeo assurdamente austero che Monti ha quanto meno subito passivamente.

Ma, al di là delle riforme, scarse nel Governo Monti come in quelli guidati dai predecessori, e tornando a noi: chi e quali responsabilità dobbiamo attribuire ad ogni singolo governo di questo secolo una volta che più correttamente guardiamo a come sono variati nel tempo non spesa e tasse ma queste in rapporto al Pil?

Ogni Governo eletto in un determinato anno prende in eredità per quell’anno le performance e le grandezze economiche del governo che ha votato la finanziaria dell’anno precedente. Così, per esempio, se vogliamo giudicare il Governo Berlusconi del 2001-2006, presupporremo che i numeri del 2001 non possono essergli attribuiti, in quanto “decisi” dal governo dell’anno precedente, e che la sua prima performance sarà misurata dai dati dell’anno successivo alla sua entrata in carico, il 2002 in questo caso.

Riassumiamo: i dati 2001 sono responsabilità del Governo Amato in carica nel 2000; il Governo Berlusconi si misura dalla sua performance con il cambiamento che avviene tra il 2001 ed il 2006, anno in cui lascia il potere al Governo Prodi, che a sua volta viene misurato da come riesce a variare i dati dal 2006 al 2008. Il Berlusconi bis, che arriva nel 2008, si giudicherà dal cambiamento che genera tra 2008 e 2011. Il Governo Monti dal cambiamento tra 2011 e 2012 (dati 2012 stimati). Ovviamente tenendo conto anche dell’andamento dell’economia di quegli anni, che viene influenzato anche da fattori esterni come l’andamento dell’economia mondiale e le annesse crisi. Emergono alcuni dati evidentissimi:

1) Uno sciagurato aumento della spesa pubblica dal 46,2% al 48,1% (non compensato da aumenti di tassazione) del Pil da parte del Governo Amato in anno elettorale, con l’economia in piena crescita che dunque non necessitava di tale aumento. Ma alla tentazione elettorale nessuno ha resistito meno del suo Governo. E questo aumento ha lasciato una cicatrice profonda che con tutta probabilità ci portiamo ancora appresso. Voto: 4.

2) Il Primo Governo Berlusconi (2001-2006), in cui albergava anche il Sen. Baldassarri, ha aumentato sì tasse (meno) e spesa pubblica (di più) in percentuale del Pil ma ben meno di Amato. Ma quello che appare evidente è l’incredibile fallimento della sua promessa di -5% di spesa e tasse vergata da Baldassarri (prima ed ultima volta responsabile della sua stesura) nel primo Dpef. E Dio sa se le condizioni dell’economia (pre-crisi) non fossero propizie ad una tale strategia. Voto: 5.

3) Il Governo Prodi (2006-2008) ha anche lui aumentato sia le tasse (di più) che le spese (di meno). La crisi non era ancora arrivata, ma a suo discapito una maggioranza ben più invisibile di quella a disposizione del Berlusconi di cui sopra. Voto: 6.

4) Quando arriva il nuovo governo Berlusconi (2008-2011), il mondo è cambiato. La crisi impera. Che le tasse aumentino poco e che le spese crescano molto in crisi è semplicemente il frutto della non austerità allora prevalente (ah che tempi…) ma anche del dolce far niente del Governo in carica che, quasi unico Governo nell’area occidentale, non usò la leva fiscale discrezionale per combattere la crisi. Senza voto, perché anche una politica non austera in tempi di crisi ha bisogno di un premier austero e dignitoso nei comportamenti per poter essere ben valutata.

5) E poi arriva Monti. E fa l’incredibile. Non tanto nella spesa pubblica, che segue l’orrido dolce non far niente berluscon-tremontiano, invece di combattere la crisi con spese discrezionali che avrebbero arrestato l’emorragia di Pil e fatto diminuire il rapporto debito Pil. No, con l’incredibile aumento, in una delle peggiori crisi della nostra storia repubblicana, delle tasse del 2,3% del Pil, portando queste al livello più alto del secolo e contribuendo così al crollo dell’economia e al salto verso l’alto, inarrestabile, a quanto pare, del rapporto debito-Pil. Voto: 6 politico.

Stimo il Sen. Baldassarri e ammiro la sua capacità – unica – di capire i dati del bilancio pubblico e le loro dinamiche. La politica essendo la politica ammiro anche la sua capacità di trovare interpretazioni verosimili. Ma non vere. La verità è che questo sciatto XXI° secolo ha scritto una delle più desolanti pagine di politica economica che è stata data vedere. E che il Paese ha bisogno di altro, ben altro, per rinascere. La buona notizia? Si può fare.

Sintesi di un articolo che si può leggere qui.



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