Prima un articolo di Peter Hatemi (Pennsylvania State University) e Rose McDermott (Brown University) pubblicato nel numero di Settembre 2012 di Trends in Genetics, una delle più importanti riviste di genetica, ha fatto il punto sull’argomento. Successivamente, il problema è stato commentato in un editoriale apparso su Nature a firma di Lizzie Buchen e in cui viene riportata anche un’intervista a John Hibbing, docente di scienze politiche dell’università del Nebraska.
I due articoli hanno discusso le evidenze a favore e contro l’idea che i geni abbiano un peso importante nel definire le attitudini delle persone, le loro lo opinioni politiche e preferenze di voto.
L’idea che le nostre attitudini politiche siano intimamente connesse all’essere umano risalirebbe ad Aristotele, ben prima della nascita della genetica, sottolineano Hatemi e McDermott che iniziano il loro articolo citando un brano tratto dalla “Politica” del filosofo greco: “Da queste considerazioni è evidente che lo Stato è un prodotto naturale e che l’uomo per natura è un essere socievole: quindi chi vive fuori della comunità statale per natura e non per qualche caso o è un abietto o è superiore all’uomo, proprio come quello biasimato da Omero “privo di fratria, di leggi, di focolare”: tale è per natura costui e, insieme, anche bramoso di guerra, giacché è isolato, come una pedina al gioco dei dadi”.
Tuttavia l’idea che il comportamento politico discenda da qualche proprietà intrinseca e sia almeno in parte determinato dai geni trova una forte opposizione sia in campo sociologico che biologico.
Nell’annosa diatriba tra “cultura” e “natura”, gli studiosi di scienze sociali sostengono che la complessità delle interazioni sociali tipiche delle società evolute sia troppo recente e troppo dipendente dal contesto storico per venir influenzata dalle leggi dell’evoluzione biologica.
Da parte loro i biologi non amano confrontarsi con queste problematiche per le implicazioni politiche/ideologiche che esse comportano. Sono ancora molto vivi i ricordi degli effetti devastanti dell’eugenetica negli Stati Uniti e nella Germania nazista nella prima metà del secolo scorso. Effetti nati dall’erronea convinzione che i caratteri del comportamento umano fossero determinati in modo semplice da singoli geni e che bastasse “sopprimerne” i portatori per migliorare la razza.
La ritrosia dei biologi nasce anche da considerazioni più scientifiche e metodologiche. Gli studi di genetica molecolare che permettono ormai quasi ogni giorno di identificare geni associati all’insorgenza di malattie sono molto costosi e richiedono la definizione estremamente accurata del carattere che si vuol analizzare. Tali ricerche si basano sul concetto che uno stato patologico sia dovuto al cattivo funzionamento di un gene o di alcuni geni i quali possono conferire suscettibilità ad un patogeno o una certa predisposizione per l’insorgenza della malattia. E’ evidente che essere di “destra” o di “sinistra” non è una patologia.
Ragionando in termini generali, “sinistra” o “destra” sono categorie scientificamente vuote visto che in ogni schieramento esistono posizioni tra loro molto differenti.
Inoltre, anche nel caso delle malattie sono solitamente coinvolti numerosi geni interagenti tra loro e la componente ambientale come pure le esperienze del paziente
Il rapporto genetica e comportamento politico è chiaramente ancora più complesso, tant’è che sono pochissimi i lavori firmati da genetisti e pubblicati su riviste specifiche del campo. La maggioranza degli articoli sull’argomento trovano spazio su riviste di sociologia politica e non sono stati oggetto del rigoroso processo di revisione richiesto normalmente agli studi genetici. Il che crea dubbi a priori sulla validità dei risultati che, come sottolineato dagli stessi autori, in molti casi non sono stati replicati in altri laboratori.
Gli autori sostengono che le preferenze politiche nascano dall’integrazione di una serie di altre caratteristiche più elementari, come ad esempio la paura per lo straniero, l’apertura verso l’innovazione, il senso della tradizione, il senso dell’organizzazione, i pregiudizi verso l’omosessualità, che sono iscritte nel nostro comportamento da sempre, appartengono a qualcosa che ci deriva dall’evoluzione e che talvolta è addirittura precedente all’uomo moderno. E’ possibile identificare i geni che stanno alla base della paura per lo straniero e che erano importanti per la sopravvivenza delle tribù primitive?
Ma quali sono gli approcci per poter stabilire che e in che misura un comportamento, una preferenza politica è influenzata dai geni? Il metodo che è stato utilizzato è quello dell’analisi dei gemelli. Esistono due tipi di gemelli: quelli monozigotici, che derivano da un singolo uovo fecondato da un solo spermatozoo, e quelli dizigotici che derivano da due cellule uovo. Entrambi i tipi vivono esattamente nello stesso ambiente famigliare e quindi almeno nelle prime fasi della loro formazione le differenze ambientali sono ridotte al minimo. Tuttavia solo i gemelli monozigotici sono geneticamente identici mentre quelli dizigotici dal punto di vista genetico sono come due fratelli qualsiasi. Se un comportamento è influenzato dai geni la concordanza di comportamento sarà maggiore tra gemelli monozigotici rispetto a quelli dizigotici. L’analisi fatta negli anni su un gran numero di gemelli in diverse parti del modo ha evidenziato che una percentuale compresa tra il 30 e il 60% del comportamento, delle attitudini (paura dell’immigrato o l’apertura verso le innovazioni), è determinata dai geni. Il resto è dovuto all’ambiente. Non per nulla le differenze tra le due classi di gemelli aumentano nell’adolescenza quando i giovani cominciano ad essere indipendenti dall’ambiente familiare.
Insomma i dati genetici sono ancora molto scarsi, le indicazioni ancora preliminari. Ma l’ipotesi è interessante e il fatto che se ne parli su riviste prestigiose indica che qualcosa verrà fatto a breve anche perché i politici sono chiaramente interessati. Un giorno forse qualcuno potrà pensare di sfruttare per i propri successi elettorali queste scoperte.
Oggi accontentiamoci di riconoscere nei nostri comportamenti e nelle nostre scelte politiche quello che c’è di innato e non derivante dalla cultura. Diventando più coscienti di quello che sta alla base delle nostre opinioni e scelte forse potremmo guardare con occhi più tolleranti le scelte e le opinioni degli altri.