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Le fatiche di Lagarde. È il turno di salvare anche l’Ucraina

Oggi parte la missione del Fondo Monetario Internazionale in Ucraina che si concluderà il 12 febbraio. Gli ispettori di Washington incontreranno le autorità di Kiev per decidere se accogliere o meno la loro richiesta di un nuovo prestito da 15,4 miliardi di dollari, dopo la scadenza, il 27 dicembre scorso, del precedente pacchetto di aiuti da 15,6 miliardi di dollari, congelato però da due anni dopo l’esborso di una cifra di 3,5 miliardi a causa delle inadempienze del governo ucraino.

La visita del Fmi arriva in un momento particolarmente delicato per l’Ucraina, che quest’anno deve rimborsare dieci miliardi di dollari di debito estero e venerdì scorso si è vista recapitare da Mosca una bolletta a sorpresa da sette miliardi di dollari per il gas contrattualizzato ma non consumato nel 2012.

Su sostegno dal Fmi sembra più che mai necessario per Kiev, ma secondo gli osservatori è improbabile he sul breve periodo la situazione si risolva. La lista delle richieste di Washington è lunga, a partire proprio da quei punti che l’Ucraina ha già annunciato di non voler soddisfare, come l’aumento delle tariffe del gas per uso domestico, anche se il governo avrebbe preparato un documento con una serie di controproposte alla ricerca di un compromesso.

Nei giorni scorsi il premier Mykola Azarov ha ribadito che per i cittadini non ci saranno aumenti sui costi energetici e il presidente Victor Yanukovich ha sottolineato da Davos che le riforme nel settore, come la ristrutturazione del colosso Naftogaz, arriveranno a breve. Ma l’Fmi vuole fatti e non si accontenta di promesse.

E proprio la questione del gas continua a essere in primo piano, con la richiesta di Gazprom a Naftogaz di un pagamento da 7 miliardi di dollari per i contratti tak or pay non soddisfatti nel 2012. Per il gigante russo Naftogaz avrebbe importato circa 26 miliardi di metri cubi lo scorso anno, contro i 33 previsti, minimo stabilito dagli accordi firmati nel 2009 da Vladimir Putin e Yulia Tymoshenko, gli stessi che sono stati al centro del processo per abuso di potere a carico dell’ex premier. Per Naftogaz sarebbe invece tutto in ordine nei conti e gli esperti non escludono che le differenti posizioni possano condurre a un’escalation della diatriba, con Gazprom pronta in caso di necessità a chiudere il rubinetto come già successo in passato.

“Russia e Ucraina hanno iniziato un nuovo confronto che può arrivare sino al blocco dell’export verso l’Ucraina”, ha detto l’analista Mikhail Krutikin, ipotizzando l’ennesima guerra del gas, nel caso nemmeno un eventuale arbitrato internazionale portasse chiarezza. Per alcuni osservatori la richiesta russa arriva a orologeria, in contemporanea con l’accordo da dieci miliardi di dollari di venerdì scorso tra Kiev e la Shell per lo sfruttamento di gas di scisto nei giacimenti del sud del Paese, che tra qualche lustro potrebbe contribuire all’emancipazione energetica ucraina da Mosca.
Il presidente Victor Yanukovich, da tre anni in carica, ha dato il via a una strategia di diversificazione energetica sia delle fonti che dei fornitori per ridurre la dipendenza dal gas russo ed è impegnato per una revisione dei contratti del 2009 che il Cremlino ha sempre respinto. Lo stallo si può sbloccare solo se da parte ucraina ci saranno dei passi in avanti, stando all’analista Evgeni Minchenko, secondo cui le offerte russe sono chiare e le controproposte non altrettanto.



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