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Lezione di keynesismo ai liberisti della Banca d’Italia

Stamattina andavo in treno a Milano. Non avrei mai pensato di viaggiare sullo stesso vagone con uno stimato economista che portava, nella sua valigia, degli attrezzi esattamente opposti ai miei. Insomma pare che Salvatore Rossi, vice direttore generale della Banca d’Italia, oggi a Milano abbia detto 4 cose contro quelli contro l’austerità come me:

1-    “I problemi dell’Italia prima ancora che ciclici sono strutturali, veniamo da un lungo periodo di incapacità di crescita duratura e sostenibile – ha affermato Rossi – Allora dobbiamo chiederci che Paese siamo e cosa vogliamo essere, quale economia vogliamo”.

Affermazione che ci lascia felici e perplessi al contempo. Felici perché finalmente abbiamo un esponente delle istituzioni che ci conferma che esiste qualcosa chiamato “ciclo economico” come potenziale “problema”. Alleluia. Ricorderete Grilli che scartava la congiuntura tra i problemi da affrontare nell’Agenda Monti? Bene, Rossi ci racconta invece che non si può scartare a priori. Un grande passo, dovuto certamente all’intelligenza della persona ma anche al perdurare dei problemi ciclici che Banca d’Italia non può più ignorare – come ha fatto nell’ultimo anno – senza finire per perderci la reputazione.

Perplessi però, perché come facciamo a dire che gli innegabili problemi strutturali di lungo periodo che fronteggia l’Italia siano oggi più rilevanti di quelli di breve periodo? E come poter affermare che non curare il breve periodo non abbia riflessi gravissimi sul lungo periodo?

Io penso che Rossi pensi a questa recessione come ad un albero sottoposto ad una grandinata, che distrugge qualche mela ma lascia intatto l’albero, capace di generare frutti in futuro. E non credo voglia discutere del fatto che questo uragano con tanto di  tromba d’aria sta sradicando l’albero, distruggendo per sempre qualsiasi suo potenziale di produrre mele in futuro.

Per esempio, se meramente per colpa del ciclo economico qualche giovane divenisse disoccupato e poi abbandonasse depresso la forza lavoro per sempre, non abbiamo trasformato un problema di breve in un problema di lungo periodo?

E se la costante recessione ciclica italiana, portoghese, spagnola, greca, portasse un Paese a ribellarsi ed a uscire dall’euro, non sarebbe questo un terribile effetto di lungo periodo? Impossibile? Beh a quanto pare qualcuno già ci sta pensando, in Grecia, dove crescono gli attentati contro rappresentanti del Governo: ultimo in ordine di tempo l’attacco contro la sede di Nuova Democrazia, il partito conservatore del Primo Ministro Antonis Samaras. Sconosciuti hanno sparato contro gli uffici del partito con fucili Kalashnikov. Verso il secondo piano, che ospita appunto l’ufficio di Samaras.

Quanto vogliamo ancora aspettare? Chiediamoci certamente che Paese siamo e cosa vogliamo essere, come invita Rossi a fare. E la risposta che mi do è questa: non voglio vivere in un Paese con questa mancanza di speranza di lungo periodo, mancanza che invece di far cadere poche mele dall’albero, sradica con la sua potenza tutto l’albero, uccidendolo per sempre.

2-    “Dobbiamo liberarci da falsi miti o miraggi – ha proseguito – Il più insidioso, e lo si trova in tutti gli schieramenti dello spettro politico, anche a livello internazionale, è che l’austerità uccide l’economia. Affermazioni che hanno sostenitori illustrissimi come tre premi Nobel e su cui è difficile non essere d’accordo ma che nascondono trappole logiche e storiche”. Perché questa tesi, spiega Rossi, va calata nel contesto specifico dei singoli Paesi e “in un Paese come l’Italia, che ha una storia di eccessi di spesa pubblica e di debito pubblico e deficit elevati, una manovra keynesiana ortodossa consistente finirebbe con il far venire ai nostri creditori uno spavento terrificante che sostituirebbe il rischio della convertibilità (ipotesi di uscita dall’euro, ndr) e lo spread tornerebbe a salire, finendo per annullare il beneficio di una manovra keynesiana”.

(PS tentazione di domanda: E come mai il debito pubblico su PIL è oggi, e non ieri, dopo 1 anno di austerità, ai suoi massimi storici da quasi 100 anni? Ma passiamo oltre.)

Anche qui siamo felici che finalmente si ammetta che vi siano fior fiore di studiosi che chiedono la fine della stupida austerità. Ma di nuovo, ecco apparire l’eccezionalità italica che impedisce di fare quello che si ritiene ovvio fare.

Vengo anche io? No tu no. E perché? Perché no. In realtà una risposta c’è. I mercati che assistono allo show di una Italia spendacciona che si muove da sola sullo scenario macroeconomico europeo impediscono ogni opzione di lotta da soli alla recessione. Da soli.

E perché mai l’Italia dovrebbe spendere da sola? Perché mai non dovrebbe convincere l’Europa a muoversi all’unisono, convincendo i mercati dell’intento pro-crescita di questa strategia, così da abbattere lo spread di ogni Paese, liberando ulteriori risorse per generare ulteriore stabilità?

3-    “La storia – ha spiegato il vicedirettore generale di Bankitalia – ci insegna che non si è mai verificato che un’iniezione di soldi pubblici abbia sostenuto la crescita economica durevolmente, di lungo periodo”. Serve invece, ha concluso Rossi, “che il settore privato sia capace di fare continuamente innovazione e ricerca di efficienza” mentre il compito del settore pubblico “è quello di mettere a disposizione servizi efficienti, regole che facciano lavorare bene, porre riparo al fallimento del mercato e badare alla redistribuzione del reddito secondo principi di equità”.

E come si mettono a disposizione servizi efficienti là dove non lo sono? Chiedetelo a Daniele Franco, Direttore centrale dell’Area Ricerca economica e relazioni internazionali: “Occorre inoltre tenere presente che le dotazioni di infrastrutture non costituiscono un obiettivo in sé, ma sono funzionali ad assicurare la qualità dei servizi. In alcune situazioni la peggiore qualità dei servizi può dipendere dalla carenza di  infrastrutture. In questi casi una strada da seguire potrebbe essere quella di individuare obiettivi di riduzione del divario tra le infrastrutture disponibili nelle aree in ritardo e quelle che sarebbero necessarie per assicurare una adeguata qualità dei servizi pubblici. La priorità dovrebbe essere assegnata alle infrastrutture che vengono utilizzate nella produzione di servizi essenziali. Un esempio relativo al comparto dell’istruzione può essere utile a fini illustrativi. Le dotazioni di infrastrutture scolastiche nel Mezzogiorno sono peggiori di quelle del Centro Nord. In base alle indicazioni del Ministero dell’Istruzione, ad esempio, la percentuale di “edifici precariamente adattati a uso scolastico e in stato di disagio” è significativamente superiore nelle regioni meridionali. Si potrebbe quindi individuare la spesa necessaria per un innalzamento della qualità degli edifici scolastici a standard prefissati e prevedere un programma di riallineamento da conseguire in un predeterminato numero di anni. In questa ottica la spesa in conto capitale aggiuntiva per l’istruzione sarebbe quella necessaria per colmare in un tempo prestabilito il divario – più ampio nel Mezzogiorno – rispetto agli standard prefissati.”

E con scuole migliori, crescita duratura.

4. E’ a queste scuola, a questa crescita, a cui rinunciamo quando seguiamo il ragionamento di Rossi che, facendo di tutta l’erba un fascio che mischia spese pubbliche di lungo periodo per investimenti e spese keynesiane di breve per gestire il ciclo, avverte che, fatta una volta una politica keynesiana, “nella vulgata” del nostro paese (queste spese) “rischiano di diventare di lungo periodo e strutturali” e alla fine “si finisce per pensare che per rilanciare la crescita in Italia serva un bel pacco di soldi pubblici e questa è un’affermazione insidiosa e fallace“.

Quindi avete capito bene: non facciamo spesa pubblica di breve per il ciclo perché rischia di divenire spesa permanente e questa mai aiuta la crescita. Quindi niente spesa: né di breve, né di lungo.

Ecco allora una bella riforma da mettere nell’Agenda di un prossimo governo. Insegnare alla classe politica che:

1) le politiche keynesiane per combattere la crisi si fanno, appunto, in momenti di crisi, e basta, ma si fanno. Insegnare a Pierino di non gridare al lupo quando non c’è il lupo è un’ottima idea, ma non insegnargli di gridare al lupo quando questo c’è è una beata idiozia che uccide Pierino e l’economia con tutto quanto sopra detto e che

2) gli investimenti, quelli giusti, che servono per la crescita di lungo periodo, si fanno, sempre, fossero pure mera manutenzione di uno stock di capitale che crolla a pezzi come crolla Pompei.

*

Al ritorno, sul treno che in 2 ore e 55 minuti mi ha riportato a casa (ero l’unico economista) con tanto di rete internet, ho pensato che era bello. Il treno. Il mio Paese dal treno.

Manca solo una cosa. Imparare a curarlo ogni giorno, questo Paese, come se fosse la creatura più bella al mondo. Che poi la è. Spendendo per esso i nostri soldi, con coraggio, determinazione e competenza, utilizzando bene le risorse a nostra disposizione per renderlo più degno del suo passato e più pronto ad agganciare un bel futuro.

Quei soldi, ben spesi, ce li restituirà, con gli interessi.


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