Chi si è illuso che tagli lacrime e sangue, abbinati all’invasività della troika potessero, tout court, sanare un buco strutturale come quello esistente in Grecia, dovrà ricredersi. Dal momento che i fondamenti di questa krisis non sono solo di natura economico/finanziaria, ma soprattutto sociale e politica. Nelle ultime ventiquattr’ore ore in Grecia sono accaduti alcuni fatti: il Parlamento ha approvato, con una maggioranza risicata (161 su 300), la “coda” del memorandum della troika, con nuove tasse (2,3 miliardi di incassi in un biennio) per liberi professionisti e commercianti; le sedi ateniesi dei partiti di governo di Nea Dimokratia e Pasok (conservatori e socialisti) sono state assalite da lanci di molotov; in alcune scuole elementari teppisti hanno rubato olio combustibile per i termosifoni, dal momento che, complice i prezzi del petrolio alle stelle, molti sono gli appartamenti del paese che tornano alla legna (azzerati i boschi nella periferia di Atene) o rinunciano del tutto al caldo; dalla lista Lagarde, l’elenco dei duemila evasori che hanno portato svariati miliardi di euro nella svizzera HSBC, spunta il nome del consigliere del premier Samaras, Stavros Papastavros, dopo le nipoti dell’ex ministro dell’economia Giorgios Papacostantinou, che ora rischia l’incriminazione; nonostante lo Stato possieda più di 75mila immobili di alto valore, spende decine di milioni di euro per affittarne altri da destinare a residenze, ministeri, uffici, stazioni di polizia, alla cifra record di 82 milioni di euro all’anno; un terzo della popolazione vive con 700 euro al mese; l’economia nazionale si contrae a un tasso annuale del 6,9%; per il riacquisto delle obbligazioni il governo ha affidato una consulenza da 11 milioni di euro ad alcuni manager di Deutsche Bank e Morgan Stanley.
L’agorà greca, oggi più di ieri, è un centro di focolai di sofferenza, di discrepanze politiche, di errori commessi da tecnici e specialisti, di schizofrenia assoluta che non può essere affrontata con le braccia incrociate o con altra tensione. E lo dimostra la quotidianità fatta di imprese che chiudono, di suicidi da crisi taciuti dai media, e di scandali mai sopiti di cui è imbevuta la classe dirigente. E a nulla serve condire visite istituzionali e vertici bilaterali con la sensazione, governativa, di vedere la luce in fondo al tunnel. Quella fiammella che in molti scorgono, più che la fine di un incubo, potrebbe diventare l’inizio di una nuova rivolta. Dove il disagio è multilivello e, cosa ben più grave, non è riconosciuto da chi, forse, avrebbe dovuto ascoltarlo e sanarlo in tempo utile.
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