Pubblichiamo un estratto dell’introduzione di Pier Ferdinando Casini al libro “Quale strategia per il centro” di Francesco D’Onofrio (Marsilio)
I professori impegnati in politica non sono una novità di questi ultimi anni. L’università è sempre stata una fucina di classe dirigente, anche per i partiti. Francesco D’Onofrio ha per alcune legislature dato un contributo fondamentale al dibattito parlamentare e anche all’attività di governo, essendo stato ministro dell’istruzione nel ’94. Nonostante gli anni di amicizia e di comune impegno politico, D’Onofrio ha sempre mantenuto integro l’approccio culturale del professore. Non per marcare una differenza di status ma per la consapevolezza del ruolo propio dell’intellettuale. Questo libro è importante quindi non perché scritto dal ‘politico’ Francesco D’Onofrio ma perché elaborato dal ‘professore’.
Il pamphlet, a sua volta, non è una semplice antologia di articoli, pur interessanti e meritevoli di lettura. Quello che emerge è un vero e proprio diario. Non la cronaca di quanto accaduto in Italia o dalle parti dell’Udc ma un’analisi profonda e prospettica che consente di intelleggere cosa è accaduto nell’area politica di centro dal Predellino all’arrivo di Monti e perché questo passaggio non è stato frutto solo di una meccanica impersonale ma conseguenza di un percorso chiaro e riconoscibile. Gli scritti di D’Onofrio sono, in questo senso, come delle mollichine lasciate lungo la strada per non perdere la rotta. E quale sia la direzione di marcia lo si può intendere chiaramente leggendo il libro nelle pagine a seguire.
Si può cogliere appieno il senso di venti anni perduti. La stagione costruita sull’evocazione degli uomini della provvidenza si è rivelata una suggestione effimera. Della rivoluzione liberale come della grande riforma istituzionale, sono rimaste solo gli echi degli slogan. Nulla più. La comunità politica che usiamo chiamare “centrista” ha avuto il coraggio di cantare fuori dal coro: quando tutti si arruolavano negli schieramenti destinati a vincere, noi inascoltati denunciavamo la grande truffa del bipartitismo per legge (elettorale) e lavoravamo, come piccole formiche, per determinare una svolta. Quando nel 2008, dopo essere stati all’opposizione del governo Prodi, ci siamo sottratti all’abbraccio di Berlusconi che ci proponeva di condividere il progetto del Pdl, non abbiamo avuto dubbi o tentennamenti. Sapevamo che saremmo finiti all’opposizione ma il rischio era quello di non superare la soglia di sbarramento, come poi accadde al partito dell’allora presidente della Camera. Dicemmo di no non solo per orgoglio, perchè non volevamo archiviare una storia di donne e uomini con un annuncio sul predellino di un’auto. Vi era, in quella scelta, il rifiuto di un modo di intendere la politica come una sorta di accidente della storia. L’idea di un rapporto fra elettori ed eletti che non passa dai corpi intermedi (partiti inclusi) ma si basa sulla relazione diretta attraverso i media (la tv per Berlusconi come internet ora per Grillo) può avere il suo fascino ma non corrisponde alla nostra interpretazione del concetto di democrazia. Questa idea si chiama “populismo” e noi la rifiutiamo.
Se il divorzio politico con Berlusconi, con queste ragioni, è il punto di partenza delle riflessioni di D’Onofrio, l’aver ‘sposato’ il governo di Mario Monti è il punto conclusivo. Fra l’uno e l’altro non c’è il caos che si autorganizza ma un disegno politico che prende forma e trova riscontro. Da quanti invocavamo un governo di pacificazione e di responsabilità nazionale che unisse forze diverse nell’interesse del Paese? Noi che in tempi non sospetti siamo stati i soli ad auspicare questa soluzione possiamo, con orgoglio, dire che se il baratro greco è stato evitato e se l’Europa, a partire dalla Bce, ha incominciato a parlare un linguaggio diverso, questo è merito, in particolare, della determinazione con la quale ci siamo battuti affinché l’Italia ritrovasse credibilità internazionale sotterrando, non senza fatica e resistenze, le armi di un’impropria “guerra civile fredda” fra due schieramenti divisi sul giudizio di un’unica persona.
Nonostante le enormi difficoltà dovute a un Parlamento non rinnovato, con il governo Monti si sono turate le falle aperte nello scafo di una nave chiamata Italia che da troppi anni non faceva manutenzione e che oggi ha bisogno di una radicale trasformazione e di un cambiamento profondo dei nostri comportamenti, individuali e collettivi. Ci siamo alimentati di troppa demagogia, abbiamo seguito le scelte di facile popolarità, non abbiamo fatto i conti con la necessità del Paese di pensare al futuro dei propri figli, siamo rimasti imprigionati negli egoismi territoriali e corporativi e questi sono i risultati. Per questo è necessario che il processo politico e culturale che D’Onofrio ha saputo raccontare, e che è sintetizzato dal governo di Monti, possa traguardare il Paese verso il 2020.
Estratto dall’introduzione di Pier Ferdinando Casini al libro “Quale strategia per il centro” di Francesco D’Onofrio (Marsilio)