È in lizza come miglior film per gli Oscar ma divide e fa discutere. Il nuovo film di Kathryn Bigelow, l’unica donna ad avere vinto l’ambita statuetta come miglior regia nel 2010 con The Hurt Locker, è al centro delle polemiche per il delicato tema che affronta.
La pellicola racconta i dieci anni di caccia a Osama Bin Laden ed è stato accusata da un membro dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, ma anche dal New Yorker, di promuovere la tortura. La ha difesa ufficialmente la Sony che ha parlato di “tentativo di oscurare uno dei grandi film del nostro tempo”.
In un lungo commento sul sito di Al Jazeera, Mark LeVine, scrittore e docente di storia del Medioriente all’Università di Irvine, evidenzia il fatto che il lavoro della regista non affronta una questione fondamentale: “Perché gli Stati Uniti con le loro politiche producono un tipo di persone che poi sentono il bisogno di invadere, occupare, attaccare con i droni, interrogare con tutta la sorta di metodi enfatizzati e poi impegnarsi in azioni che violano tutti gli ideali su cui la società americana dovrebbe essere basata e governata?”. Su questo, continua LeVine, “Bigelow e Mark Boal (lo sceneggiaore, ndr) dimostrano con evidenza abbastanza comprensione, in modo volontario o meno è difficile da dire”. Per questo, secondo il professore, questo film, indipendentemente dalla statuetta o meno vinta, è profondamente imperfetto.
L’ex moglie di James Cameron sembra curarsi poco delle critiche e dice di aver “fiducia nel mio sceneggiatore, nella storia e nel nostro punto di vista che è quello umano”.