Solo pochi giorni fa il presidente Giorgio Napolitano ricordava come un tempo, in Italia, i partiti di opposizione e quelli di governo si distinguevano soprattutto per la loro “scelta di campo” internazionale nei confronti di Stati Uniti, Europa e Unione Sovietica. Oggi non è più così. La politica internazionale non ha perso importanza, ma le questioni sono più complesse e, non prestandosi a dicotomie chiare, non si addicono a facili slogan elettorali.
La politica estera è quindi scomparsa dalla maggior parte dei programmi elettorali. Fa in qualche modo eccezione la politica europea, che ormai, per molti versi, è un tutt’uno con la politica interna. Intorno alla questione dell’euro e agli impegni che la moneta unica comporta si gioca infatti la partita della crisi economica e il futuro del bilancio dello stato.
Germania nel mirino
Benché esistano voci minoritarie che vorrebbero una scelta secca a favore o contro la prosecuzione dell’euro e dell’Unione europea, la maggior parte degli interventi politici è più ambigua. Si delinea poi una sorta di gara amaramente populista e qualunquista a chi promette maggiori sgravi fiscali o più occupazione e sviluppo, senza chiarire come ciò potrebbe realizzarsi e quali potrebbero esserne le conseguenze.
Molte critiche vengono dirette al governo tedesco, ma nessuno dice se esistano alleati alternativi e quali siano i loro interessi. Assistiamo a spot propagandistici più che a discorsi ragionati.
Tra spot e contraddizioni
Vige così il principio di libera contraddizione. Il programma del Partito delle libertà, ad esempio, elenca una serie di punti che corrispondono alla migliore ortodossia europea, mentre la campagna elettorale si scatena contro l’euro, la Commissione europea e il patto di stabilità.
Se si sposta lo sguardo a sinistra, la situazione non cambia. In un suo discorso a Berlino, Pierluigi Bersani si è allineato alle posizioni europee, difendendo la cancelliera Angela Merkel, senza sollevare la questione del contributo italiano al bilancio comunitario e le scelte che, ad avviso del nostro governo, dovrebbero derivarne. Al contempo però, importanti esponenti del Partito democratico e della coalizione propongono un forte disallineamento di politica economica, senza discutere le inevitabili conseguenze e senza proporre una strategia comprensibile.
Confusioni e ritrattazioni sono all’ordine del giorno. Basta pensare all’intervento francese in Mali. In contrasto con l’indirizzo politico approvato dal Parlamento poche ore prima, il governo ha scelto di non dare alcun appoggio logistico, dimostrando non solo la sua volatilità politica, ma commettendo anche un errore strategico che indebolirà la voce italiana in Europa.
Ancora più strambo è il moltiplicarsi di voci contrarie all’acquisto degli aerei F-35 da parte delle Forze armate italiane. Queste critiche infatti vengono da quelle stesse forze politiche – siano esse di destra, centro o sinistra – che quando erano al governo negli scorsi anni avevano appoggiato l’acquisto.
La classe politica italiana appare così priva di punti di riferimento e di convinzioni, proprio quando le evoluzioni in corso in Africa, Medio Oriente, Russia e Asia centrale dominano la scena e mettono a rischio la nostra sicurezza e il nostro benessere.
La supplenza di Napolitano
Si stacca da questo triste sfondo la figura del Presidente della Repubblica che sembra ormai l’unico ancora in grado e desideroso di esprimere un discorso compiuto, articolato e non contraddittorio di politica estera, affrontando pacatamente questioni cruciali come quelle del bilancio comunitario, dei negoziati per arrivare a un nuovo grande accordo di libero scambio tra l’Unione europea e Stati Uniti e dei conflitti in corso in Medio Oriente e in Africa. Napolitano svolge così un ruolo di “supplenza istituzionale”, per rimediare in qualche modo all’impressione disastrosa di sbandamento offerta dalla politica italiana nel contesto internazionale.
Questa però non basta a compensare la totale assenza di dibattito interno e di trasparenza, lasciando gli elettori nella più totale ignoranza di quel che faranno coloro che saranno eletti a governare l’Italia.
Stefano Silvestri è direttore di Affarinternazionali e presidente dello IAI.
Articolo tratto dal dossier “Elezioni e politica estera” di Affari Internazionali