Opinione differente quella del liberista Alberto Mingardi, direttore generale dell‘Istituto Bruno Leoni. L’Ilva? “Mi sembra un caso emblematico di sovrapposizione e di scontro fra poteri, in Italia. La politica locale, la politica nazionale, la magistratura hanno giocato partite diverse, non chiare, l’esito delle quali è una drammatica situazione di incertezza per la città. Ricostruire le responsabilità è un compito che spetterà agli storici – e non sarà facile”, spiega Mingardi a Formiche.net.
“Nondimeno – aggiunge l’intellettuale liberista autore del libro ‘L’intelligenza del denaro’ – non posso pensare che la ‘soluzione’ consista nel presentare il conto a Pantalone. Se non ci sono più le condizioni per produrre acciaio a Taranto, o se la comunità considera ormai inaccettabile il costo ambientale di tale produzione, la soluzione più lineare è che l’impresa fallisca. In una procedura fallimentare – osserva – si vedrà se ci sono investitori (anche internazionali) interessati a rilevare l’attività”.
“Capisco bene che una cosa è sostenere che il fallimento fa parte del processo di mercato, e ne è essenziale elemento disciplinante, e altra è ritrovarsi senza lavoro. Ma innanzi a questo dramma umano – sottolinea il direttore del pensatoio turbo-liberista – non si può pensare che l’unica soluzione sia mantenere lo status quo. Se non ci sono le condizioni per cui si continui a produrre acciaio a Taranto, la cosa migliore è dare un segnale chiaro in quella direzione – e aiutare i lavoratori tarantini a costruirsi nuove competenze, per trovare altre opportunità. Mi rendo ben conto che scriverlo è facile e farlo è difficilissimo: ma l’alternativa è prolungare l’agonia e continuare ad illudere queste persone che potranno proseguire come fatto sin qui”.
Sulle nazionalizzazioni “temporanee”, come proposto da Cipolletta sulla scia anche dell’esperienza americana del settore auto, Mingardi ha grandi perplessità. “L’Italia, diceva Prezzolini, è il Paese in cui nulla è più stabile del provvisorio. Abbiamo una certa esperienza di nazionalizzazioni ‘temporanee’ sopravvissute a guerre e cambi di regime”, conclude.