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Che cosa è successo all’Eni e a Scaroni

L’ad di Eni è indagato dalla procura di Milano per corruzione internazionale in relazione alle tangenti pagate da Saipem, società del gruppo, a politici algerini. Una commessa di 11 miliardi di dollari e una maxi tangente da 197 milioni di euro. Ma il presidente del Cane a sei zampe, Giuseppe Recchi, ha spiegare le ragioni per cui i vertici della capogruppo sarebbe “totalmente estraneo alla vicenda”.

Per aggiudicarsi i lavori del progetto Medgaz e del progetto Mle in joint venture con l’ente di Stato algerino Sonatrach, Saipem e la sua holding Eni avrebbero versato alla società di Hong Kong, Pearl Partners Limited dell’intermediario Farid Noureddine Bedjaoui quasi 200 milioni di presunte mazzette da distribuire a faccendieri, esponenti del governo algerino e manager della stessa Sonatrach. E’ questa l’ipotesi di reato su cui sta indagando la magistratura.

Gli incontri al vaglio degli inquirenti

Altri incontri per decidere versamenti illeciti si sarebbero svolti presso un albergo di Milano con i sub-contrattisti Saipem. I contratti stando a quanto si apprende risalgono al periodo compreso tra il 2007 e il 2009, mentre i pagamenti sarebbero avvenuti tra il 2008 e il 2010. Nel 2010 venne avviata un’inchiesta in Algeria dalle autorità locali mentre l’inchiesta della procura di Milano nacque nel 2011. I magistrati del capoluogo lombardo quando iniziarono a indagare sapevano dell’esistenza di un’inchiesta in Algeria ma rifiutano di specificare da quale elementi nacquero i loro accertamenti.

Le società coinvolte

Nell’inchiesta sono coinvolte Saipem spa, Saipem Sa, Saipem Portugal Commercial Marittimo e Fcp, First Calgari Petroleum società canadese acquistata dall’Eni.

Il ruolo di Varone

Secondo quanto emerge dal decreto di perquisizione della procura di Milano che ha portato le Fiamme Gialle nelle sedi di Eni e Saipem, Pietro Varone, chief operating officer dell’area Engineering&Construction di Saipem, era in rapporti di affari con l’intermediario Farid Noureddine Bedjaoui, l’uomo che è accusato di aver ricevuto le tangenti per poi distribuirle a politici e funzionari algerini. “Da documentazione sequestrata presso la stazione ferroviaria di Roma in data 1 dicembre 2012 a carico di una parente di Regina Piceno (moglie separata di Pietro Varone) risultano prove di cointeressenze economiche tra la predetta Regina Picano e Farid Noureddine Bedjaoui, nonché versamenti effettuati da Bedjaoui a favore dell’azienda agricola di Varone, di cui Bedjaoui risulta altresì socio”, si riporta nel decreto.

Da dove è passata la presunta tangente

Secondo i pm di Milano i soldi della presunta maxi tangente pagata da Eni e Saipem per far ottenere contratti a Saipem in Algeria sarebbero passati per conti in Svizzera, Emirati Arabi e Dubai.

Le parole del presidente Recchi

Ma è il presidente del Cane a sei zampe a difendere l’ad. “Non c’è proprio nessun presupposto” per prendere in considerazione le dimissioni di Paolo Scaroni, ha dichiarato il presidente del gruppo energetico, Giuseppe Recchi, che spiegato in una intervista al quotidiano La Stampa di aver sentito l’ad e di averlo trovato “sereno e tranquillo”, “assolutamente nessun allarme”.

Le ragioni di Recchi

Secondo Recchi, il gruppo è totalmente estraneo alla vicenda per due ragioni. “La prima è che siamo due società quotate, che di conseguenza hanno vincoli stretti di regole e comportamenti previsti non solo dal codice di autodisciplina della Borsa, ma anche dal Testo unico della finanza. Non entriamo nel merito delle commesse e dei progetti”. La seconda “è di mercato: l’Eni vale solo il 10%del business della Saipem, che vive delle commesse che vince, spesso assegnate dai nostri concorrenti, e che senza una reputazione internazionale di indipendenza non potrebbe lavorare”. L’incontro tra Scaroni, il ministro algerino Khelil e il presunto intermediario Bedjaoui a Parigi “non mi pare il presupposto di nessun coinvolgimento. Lasciamo che l’indagine, alla quale collaboriamo da tempo, vada avanti”, ha precisato Recchi.

“Quando lo scorso novembre la magistratura ci ha portato l’evidenza di una situazione preoccupante, l’Eni ha rivolto ai vertici Saipem raccomandazioni molto forti e ha preteso contromisure molto drastiche”, ha ricordato. “Ci sono state le dimissioni del direttore finanziario dell’Eni, che all’epoca dei fatti contestati era direttore finanziario della Saipem; quelle dell’amministratore delegato della Saipem stessa; le sospensioni di altri dirigenti della società. In più – ha concluso Recchi – abbiamo ribadito ai magistrati di essere completamente a disposizione per definire anche gli attuali problemi. Mi sembra che sia stato fatto tutto ciò che si poteva fare”.


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