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Ma il forum di Todi che fine ha fatto?

Siamo ormai a pochi giorni dall’importante appuntamento elettorale che si celebrerà solennemente domenica e lunedì. Tra i molti commenti che i giornali hanno messo a disposizione dell’opinione pubblica, ne emerge uno diffuso e preoccupante, vale a dire la constatazione che questa campagna elettorale è stata tra le più brutte che si ricordino nella storia repubblicana. E, d’altronde, è difficile riuscire a negare quanto quest’osservazione sia fin troppo evidente.

Può forse consolarci un po’, ma è evidentemente una battuta, che in passato ci siano state campagne elettorali ben peggiori, ad esempio in epoca liberale e perfino durante il Fascismo. Basti ricordare i due squallidi e coercitivi plebisciti sulla lista unica del ’29 e del ’34.

Orbene, è presto per dare giudizi sul presente italiano, sebbene vi sia molto, molto da dire già adesso. Guardando all’offerta, in realtà, la vera novità non sono state le due originalità tangibili: vale a dire, da un lato, la Lista Monti e, dall’altra, il Movimento Cinque Stelle. Molto di più è primigenia la convivenza di queste due opposte alternative con il tradizionale binomio Pd-Pdl. In altri termini, abbiamo avuto il vecchio bipolarismo, praticamente immutato, che ha dovuto fare i conti con una forza nuova di centro che si è fusa con la tradizionale area di Casini e del dissidente Fini, in cerca, quest’ultimo di disperata sopravvivenza, e una dirompente stretta partecipativa antisistema interpretata con dovizia comunicativa da Grillo.

Alla campagna elettorale, a mio avviso, è mancata – ed è così purtroppo da vent’anni – la presenza di una vera, autentica e riconoscibile proposta cattolica. Voglio dire che era maturo il momento di presentare con coraggio un’offerta che fosse direttamente ed esplicitamente tale e avesse la pretesa non di recuperare un vecchio mondo, fatto di associazioni varie ed eventuali, ma di investire sulla peculiare valenza ideale di De Gasperi, di Gonella, di Fanfani. E lo dice un commentatore, il sottoscritto, che è stato fino a oggi critico dell’idea di Todi, ossia del partito unico. Si ricordi, in tal senso, il doppio articolo mio e di Paolo Messa sul Riformista di qualche anno fa, dove io sostenevo il no e lui il sì a un partito unico.

Adesso, però, dopo questa campagna elettorale, mi sento di dire il contrario. Mi spiego: non ho cambiato idea sui riferimenti culturali, che sono sempre gli stessi: riformismo e non confessionalità. Ma bisogna assolutamente riprendere le fila di quella storia, guardando specialmente alla visione politica di Fanfani che favoriva l’idea di un’arte di governo industriosa che scommettesse sulla forza ideologica e organizzativa che ha la filosofia cattolica nel gestire lo Stato, facendo stare insieme le persone nella democrazia e creando così un’area maggioritaria di consenso, in alternativa al pensiero neo-marxista e a quello neo-liberista.

Sono sicuro, d’altronde, che di questo, almeno qui su Formiche.net, potremo parlarne in futuro.
Il punto è che la politica ha bisogno di tempo, spesso maggiore rispetto alle forze individuali. E scommettere su progetti che non rispondano alle differenze culturali, è molto difficile. E in questo periodo la vera distinzione non è tra progressisti e conservatori, ma tra credenti e non credenti.
Il grande movimento che è nato attorno a Montezemolo e a Monti ha trovato, inizialmente, un consenso popolare fortissimo in alcuni movimenti cattolici e in una parte di gerarchia, un consenso che si è affievolito, sebbene sia auspicabile che, nonostante tutto, venga confermato dal risultato elettorale.

Resta, insomma, da costruire tutto, comunque vadano le cose. In specie resta da costruire una politica per i credenti, un soggetto politico che si riconosca in alcune idee guida molto precise, e che abbia il coraggio di riprendere alcune proposte filosofiche, laiche ma cattoliche, specialmente le suggestioni profetiche che Giorgio La Pira aveva elaborato durante i lavori della Costituente.

In primo luogo, il riconoscimento dell’anteriorità dell’uomo, della sua natura trascendente, comunitaria, sociale, alla politica. Ciò significa riqualificare l’azione pubblica, ma in funzione della libertà, del bene comune, dell’industria, del lavoro e dell’interesse di tutti, non del valore mercantile degli affari di qualcuno.
In secondo luogo, scommettere sul patrimonio di cultura democratica esistente nella tradizione italiana, un capitale che ha nella visione teologica il suo riferimento massimo e il suo punto di partenza, e nell’uomo il suo fine. Il popolo è soggetto della sovranità, finché si riconosce la superiore trascendenza della persona umana, di ogni persona umana, dall’immanenza dello Stato.
In terzo luogo, aprire una considerazione realmente critica verso il capitalismo nazionale, ormai espressione continua di scandali e corruzioni. Il bene comune non è una valorizzazione d’interessi che emerge spontaneamente dal gioco degli egoismi, e non è neanche l’effetto di un’egemonia di partito com’è quella rappresentata da una parte della sinistra e da tutta la destra. Il bene comune esprime la capacità della politica di fare l’interesse reale di tutte le persone che compongono la società. Pochi si ricordano del Preambolo di Donat Cattin, resosi necessario alla DC, nei primi anni ’80, dopo la fine del Compromesso storico.

Ebbene, la posizione culturale cattolica, si ribadiva allora, è di essere un’alternativa democratica alla visione materialista sia del capitalismo di sinistra e sia da quello di destra. Individualismo e collettivismo allora, Bersani e Berlusconi oggi, sono un’unitaria appendice di quella storia politica, che in tutto il mondo ha perso, mentre in Italia vince per mancanza di una proposta popolare, facendoci scivolare nella recessione e nella povertà.
Democrazia significa, dunque, pensare il futuro nei termini non di una comunità giusta ma povera e neanche di una libertà possibile solo per pochi, ma in riferimento ad un benessere che sia realmente comune, sia concretamente perseguibile da tutti, grazie a riforme consistenti e coraggiose, rese possibili da ideali sostenuti con forza da persone coraggiose.

Dopo le elezioni, quale che sia il risultato, bisogna ripartire da questa idea di centro, non da tatticismi e da doroteismi inutili. Una proposta che deve essere prima di tutto lavoro intellettuale e formativo delle coscienze, attenzione alle persone, al loro progresso umano, per poi divenire un’organica proposta alternativa alla destra e alla sinistra, e infine, ma solo infine, proposta elettorale e parlamentare. In caso contrario, è fin troppo ovvio, il centro cattolico perde, anche se vince un’area di centro ibrida, disciolta nel conformismo laicista.

Benedetto Ippolito*

(*l’autore è candidato alla Camera in Lombardia nella lista Scelta Civica)

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