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Università italiana in via d’estinzione?

Sto cercando di capire se parlare dell’Università che sta morendo sotto i miei occhi o dell’Università che è portata di mano, se soltanto. Solo perché l’urlo di allarme l’ha lanciato qualcun altro, incisivamente, sceglierò di chiudere questo post con una dichiarazione di amore e di ottimismo.

I dati del rapporto Cun, Consiglio Universitario Nazionale, sui finanziamenti all’Università e su come questi si sono evoluti nell’ultimo ventennio possono generare due tipi di risposte. Da un lato possono portare a lamentarsi dell’incredibile crollo in termini reali degli stanziamenti, segnale di disinteresse totale dei precedenti governi alla cosa pubblica universitaria. Dall’altro possono generare una scrollata di spalle e quasi un consenso, da parte di chi crede che l’università essendo centro degli sprechi e dei baroni meritasse solo un trattamento simile.

Una simile doppia interpretazione la possono generare tante altre statistiche riportate. Per esempio quelle sul crollo degli immatricolati. C’è chi dice che questo crollo è dovuto ai tagli che rendono impossibile fornire servizi di qualità, c’è chi dice che è semplicemente il segno che l’Università italiana è di pessima qualità e dunque o si lavora o si va a lavorare all’estero.

In tutto ciò, la maggioranza silenziosa, quelli che non andavano prima all’Università, quelli meno abbienti, e che pagavano di fatto l’università dei ricchi, continua a fare quello che ha sempre fatto: non andare all’Università. Lo dicono i dati, che nulla è stato fatto per diventare in questo senso più europei e più capaci di far diventare l’università qualcosa di meno aristocratico.

Il numero di chi accede a un titolo di studio universitario, in Italia, è decisamente sotto la media OCSE, le cui rilevazioni riferite al 2010 collocano l’Italia al 34° posto su 36 Paesi considerati. In termini assoluti, nella fascia di età 30-34 anni, solo il 19% possiede un diploma di laurea, contro una media europea del 30%. Si ricorda che la Commissione UE, ai fini della strategia Europa 2020, chiede agli Stati membri di raggiungere una percentuale almeno del 40% di laureati in quella fascia di età. Nel Programma Nazionale di Riforma 2012 l’Italia s’impegna a portare al 26-27% la percentuale di popolazione in possesso di un diploma di Istruzione superiore.

In realtà il sistema sta diventando meno aristocratico, perché gli aristocratici fuggono. E’ chiaro dove finiremo se i ricchi scappano e i poveri non entrano: l’Università italiana sta per scomparire.

Secondo i dati MIUR (Anagrafe Nazionale degli Studenti), gli immatricolati sono scesi da 338.482 (nel 2003-2004) a 280.144 (nel 2011-2012), ciò che significa un calo di 58.000 studenti pari al 17% degli immatricolati del 2003, come se in un decennio fosse scomparso un Ateneo grande come la Statale di Milano con tutti i suoi iscritti.

Ottimo modo di comunicare la dinamica dei dati: come cascano i muri di Pompei per incuria, per incuria spariscono le università.

Sparire come i Panda? No, sparire come le api. Mi hanno detto che le api hanno smesso di morire e sparire. Hanno trovato apparentemente la causa, in un prodotto chimico che ne distruggeva il senso dell’orientamento. Causa trovata, causa eliminata, ape salvata.

Si può fare. Certo che sì. Ridare vita all’ape operosa chiamata Università. Restaurare il muro crollato e ridargli bellezza e dignità, splendore per chi contempla. Al contempo iniettando più fondi ed ottenendo più qualità. Addirittura mettere a frutto un investimento ingente, facendola divenire polo di attrazione di tantissimi studenti stranieri e delle loro risorse, fonte infinita di export. E di rientro di giovani ricercatori italiani, ed europei.

Nel programma dei Viaggiatori c’è scritto come. Vi assicuro, è facile. Richiede un pò di coraggio, un pò di fantasia, molta leadership sicura, un pò di fondi, tanta capacità organizzativa e di monitoraggio.

Sintesi di una articolo completo che si può leggere qui.



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