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Ecco come le banche d’affari americane scrutano Grillo e Casaleggio

Beppe Grillo sotto i riflettori dell’alta finanza. Uno scenario imprevedibile solo fino a pochi mesi fa, ma che sta prendendo forma a causa del successo dirompente del Movimento 5 stelle.

Già nelle scorse settimane se ne sono occupati, tra gli altri, la banca d’investimento Merrill Lynch, la stessa Wall Street e persino il magnate di origine ungherese George Soros.

Ora invece, mentre da più parti non si biasima l’incerto risultato elettorale italiano, ci pensa Jim O’Neill – il guru di Goldman Sachs che ha coniato il celebre acronimo “Bric” (i paesi emergenti Brasile, Russia, India, Cina) – a spiazzare tutti definendo “entusiasmante” l’esito delle Politiche.

Un giudizio lievemente contrastante con quanto espresso a seguito delle elezioni in alcuni report delle principali banche d’affari americane, compresa Goldman, ma che segnala l’attenzione di cui gode sul piano globale il fenomeno del partito della Rete di Grillo e Gianroberto Casaleggio.

La miccia che potrebbe innescare il cambiamento
In un commento nello studio «Riforme non vuol dire austerity», O’Neill sostiene che “il particolare fascino di massa del Movimento 5 Stelle potrebbe essere il segnale dell’inizio di qualcosa di nuovo”.

Non un semplice parere dunque, ma una vera e propria promozione cum laude per Grillo, proprio da quell’istituto più volte attaccato pubblicamente per aver avuto tra i suoi consulenti uomini considerati parte integrante del Sistema da combattere, come il presidente della Bce Mario Draghi e Mario Monti, definito dal comico, in modo spregiativo, un “impiegato” della banca.

Un incubo per Berlino, Bruxelles e Francoforte
Credo – aggiunge l’economista – che un paese (l’Italia) il cui Pil sostanzialmente non è cambiato da quando l’Unione Monetaria è partita nel 1999, ha bisogno di cambiare qualcosa d’importante”.

Secondo O’Neill, Grillo e il movimento rappresentano per molti una pericolosa incognita, perché potrebbero smuovere le paludate acque della “casta”, non solo di quella italiana.

Per le elite consolidate dell’Italia – sostiene – e fondamentalmente per gli altri “centri di potere” dell’Europa, in particolare Berlino e Francoforte, penso che questi risultati siano molto vicini a un incubo”, perché pongono in discussione il dettame che mette al primo posto la riduzione del debito voluto da Bruxelles.

Il consenso a Grillo, un voto contro l’austerity
O’Neill sembra invece condividere sul piano economico le tesi di Grillo, che chiede meno austerity e meno rigore di bilancio per far ripartire la crescita.

Il vero problema dell’Italia è l’assenza di crescita economica – aggiunge l’economista – che ha causato la crescita del debito, e non sono cioè gli stessi problemi degli altri paesi dell’Eurozona. La posizione di bilancio dell’Italia aggiustata ciclicamente è oggi in modesto surplus, che virtualmente è meglio di tutti gli altri paesi sviluppati“.

Penso – conclude O’Neill – che restringere le politiche di bilancio di per sé, con un vago intento di riduzione del debito, non sia una strategia furba. L’Italia ha bisogno di riformare il proprio mercato produttivo e del lavoro, di sostenere la produttività nazionale e di riforme. Queste hanno bisogno anche del supporto della Germania e della Bce per restare nell’unione monetaria e, specialmente ora, di fermare una potenziale ulteriore escalation nella crescita dei rendimenti dei titoli di stato. In Italia le riforme non sono identificate con l’austerity, come gli elettori hanno appena mostrato”.

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