Pochi se ne sono accorti, ma il primo (mezzo) “Sì” del partito dei “No” per eccellenza è arrivato giovedì sera. Una prova generale di affidabilità per i grillini, sia pure tra mille condizioni e vie fuga, sulla materia più ostica per i neoeletti, quella della politica economica.
Teatro della mini svolta, le commissione speciale del Senato, istituita in attesa che si insedino quelle vere, per approvare i provvedimenti più urgenti. Oggetto, il mandato al presidente della commissione in Senato Filippo Bubbico a riferire in Aula sulla nota di variazione del Def, presentata dal ministro dell’Economia Vittorio Grilli. Quella che contiene le nuove stime su crescita, debito e deficit alla luce della restituzione di 40 miliardi di euro di debiti contratti dalla pubblica amministrazione e mai pagati.
Gli eletti del Movimento cinque stelle hanno votato insieme agli altri, anche se poi hanno annunciato che martedì in Aula presenteranno una relazione di minoranza. Un atto dovuto, si direbbe, se non fosse che, spiegavano esponenti democratici, nonostante tutto ancora molto sensibili ai movimenti dei grillini, durante la seduta sono ripetutamente intervenuti. E non per dire no. Particolarmente apprezzato l’intervento dello stesso Grilli. Cosa che non è passata inosservata in Parlamento, ma nemmeno al ministero di via XX settembre. “Il primo Sì lo hanno detto a Grilli”, si sentiva dire al dicastero.
Una sorpresa, se non altro, perché nei giorni precedenti gli stessi grillini avevano definito il Def compilato da Grilli una “porcata”, con dentro una “regalia alle banche”. Il riferimento era alla quota di fondi che il governo girerà agli istituti che hanno già anticipato soldi alle imprese a fronte di crediti con la Pa. Quasi dieci miliardi di euro, che, ha detto Grilli in commissione, arriveranno comunque dopo rispetto a quelli destinati alle aziende. Poco più di una rassicurazione verbale, che però ha soddisfatto in pieno i senatori cinque stelle. Che, a ben guardare, sono anche passati sopra un’altra questione che avevano messo in risalto (in questo caso in compagnia del Pdl), cioè la scelta di fare aumentare subito il deficit di mezzo punto per pagare spese per investimenti, portando il rapporto tra indebitamento e Pil del 2013 al 2,9. A un soffio dal limite europeo del 3%.
Se fosse un vecchio partito verrebbe da dire, che, più che pensare al merito, nel M5S è stato fatto un ragionamento politico. A pensare bene questo potrebbe essere semplicemente, il voler dimostrare che i parlamentari cinque stelle sono affidabili e che il sogno del leader Beppe Grillo di un Parlamento senza governo è possibile. Oppure, a pensare male, si potrebbe dire che hanno voluto dare un segnale al Pd. Un modo per dire ai democratici, e magari anche a Napolitano prima che sposti la barra delle consultazioni verso il centrodestra, che le porte non sono tutte chiuse.