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Ammettiamolo, i magistrati si stanno accanendo contro Berlusconi

Per capire una fase storica bisogna sempre guardare all’origine. Così, per comprendere la Seconda Repubblica dobbiamo necessariamente tornare a Mani Pulite, vale a dire all’impressionante indagine milanese del ’92 che portò all’eliminazione giudiziaria degli allora partiti di governo.

Di lì è venuto fuori il duraturo contrasto pro e contro Silvio Berlusconi. A scatenarlo di nuovo è stato stavolta il rifiuto del legittimo impedimento con il quale l’imputato eccellente ha motivato la sua assenza dall’aula nel processo Ruby. Il Cavaliere, infatti, è da giorni ricoverato al San Raffaele per un’uveite e per altri acciacchi che lo affliggono.

E’ inutile entrare nel dettaglio, anche perché quello che conta è che non c’è una consapevolezza politicamente adeguata del significato devastante che ha una guerra ventennale tra poteri dello Stato. Esiste sempre invece la volontà di stemperarne la portata, derubricandolo a somma di una serie ordinaria di procedimenti giudiziari cui il leader del centrodestra tenta assurdamente di sottrarsi con la politica.

Facciamo lo sforzo, invece, per un attimo di guardare le cose come sono veramente. E’ difficile non vedere la patologia che ispira l’accanimento con cui una parte della magistratura tratta certe vicende giudiziarie. Alcuni giudici danno l’impressione di considerare una colpa effettiva avere dei ruoli politici di rappresentanza della parte liberale della società, in nome del principio formale che la legge è uguale per tutti.

Come non scorgere, d’altronde, nel reiterato invio degli ispettori in ospedale per verificare la veridicità dei certificati medici di un leader così popolare, un rigorismo che, a ben pensare, tradisce un chiaro accanimento e, a mal pensare, conferma la tendenziosità ideologica dell’iniziativa?
Dovremmo non dimenticarci, come ha fatto Fabrizio Cicchitto, il modo violento con cui Craxi, Forlani e Andreotti furono spazzati via dallo sciacallaggio giustizialista che ha distrutto le loro vite e i diritti dei loro elettori; e, ancor più, il valore delle considerazioni che Gianni Baget Bozzo faceva sulle ragioni ultime che spiegano il conflitto politico italiano tra magistratura e democrazia.

Una parte della sinistra pensa che il potere giudiziario esprima l’essenza della sovranità popolare, arrivando a giustificare qualsiasi cosa in nome del valore istituzionale e concettuale della giustizia, dell’egualitarismo, della retorica della legalità e della distinzione dei poteri. Il problema, allora, non è Berlusconi, non è la sua immoralità e neanche la sua appartenenza a un mondo da sempre ostile “geneticamente” al “centralismo democratico”.

Il vero nemico è l’idea che il popolo sia davvero sovrano e che i cittadini possano esprimere liberamente e dinamicamente questa loro volontà, riformando il sistema e sottraendosi al controllo selettivo del potere. Purtroppo questa è la realtà. Si è radicata una precisa cultura politica che persegue da molto tempo un disegno che è pervicacemente anti democratico.

Le ripercussioni finali sono che l’Italia scivola in serie B, il nostro mercato non è più attraente, Grillo si rafforza e la magistratura diviene uno strumento costoso, lento e burocratico, finalizzato a mantenere in vita inesorabilmente una potentissima oligarchia improduttiva.

 

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