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La cenere della politica e la polvere della protesta

Quella italiana non è una democrazia maggioritaria ma parlamentare. Il fatto che si sia tentato attraverso il grimaldello delle leggi elettorali di forzare il dettato della Costituzione non significa che la Carta sia stata modificata.

Il Porcellum non ha dato un vincitore “assoluto” e d’altra parte ottenere la maggioranza dei seggi con un terzo o meno dei voti sarebbe stata comunque una forzatura.

Le urne quindi costringono a fare i conti con quella che dovrebbe essere la fisiologia del nostro sistema democratico: la ricerca del consenso in Parlamento fra le forze che pure si sono scontrate in campagna elettorale.

I singoli partiti hanno il diritto e dovere di esprimere le loro indicazioni ed i loro orientamenti al Capo dello Stato il quale, tenendone conto, assumerà insindacabilmente le sue decisioni affidando l’incarico alla persona che riterrà più idonea a raccogliere la fiducia delle Camere. Questo processo non è formale, è sostanziale.

E’ il nome del capo della coalizione sulla scheda ad essere una (grave) forzatura. In ogni caso, il Presidente della Repubblica conosce bene la Costituzione e non ha bisogno di lezione.
Purtroppo, ed è da sottolineare il purtroppo, chi sembra aver smarrito la sua tradizionale cultura istituzionale è il Pd che sembra arroccato in una visione maggioritaria che non ha nessun rapporto con la realtà che è emersa il 24 e 25 febbraio scorsi.

Le elezioni hanno consegnato un Paese diviso e arrabbiato. Il compito della politica è quindi di offrire unità e riscontro positivo ai sentimenti di disagio e di protesta. Un partito che, per poche decine di migliaia di voti, ha ottenuto uno smisurato premio di maggioranza in un solo ramo del Parlamento non può avere la presunzione di dettare le condizioni senza le quali si torna a votare, mettendo così in ginocchio l’economia del Paese.

Sotto la cenere di una calma apparente cova un fuoco pericolosissimo. L’omicidio-suicidio di Perugia è una notizia di cronaca che non va sottovalutata. La disperazione crescente fra strati sempre più vasti della popolazione merita il massimo dell’attenzione politica da parte di tutti. Serve ristabilire fiducia nel futuro e nella classe dirigente che siede in Parlamento.

L’idea di parlare solo a una parte o di escludere un’altra rappresenta un modo inadeguato per rispondere alla crisi profonda che attanaglia imprese e famiglie.
La Costituzione non è un documento giovanissimo e forse non va più tanto di moda. Eppure c’è e può essere ancora vitale nell’orientarci in questo tumultuoso dopo voto.

Fa una certa impressione constatare che Bersani si ostini a ragionare ancora avendo in testa l’ossessione di Berlusconi e di una Seconda Repubblica che, piaccia o non piaccia, non c’è più.
Affidarsi alla Carta e al Presidente della Repubblica dovrebbe essere per tutti, e per il Pd in particolare, la scelta più naturale e più lungimirante.



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