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Che cosa distingue Papa Francesco dal Papa emerito

Fino ad oggi era impossibile che due Papi, entrambi in vita, potessero incontrarsi e pranzare insieme. Invece, è esattamente quanto è avvenuto ieri a Castel Gandolfo.

Papa Francesco è arrivato all’eliporto con la sua consueta semplicità e ha trovato ad attenderlo Benedetto XVI. Il Papa emerito l’ha ricevuto con un caloroso abbraccio, ed entrambi sono andati poi al Palazzo Apostolico, dove hanno pregato insieme. Il dono della Madonna dell’umiltà, che Bergoglio ha portato a Ratzinger, ha voluto esprimere l’esempio morale che il predecessore lascia in eredità al successore.

Qui emerge subito la prima peculiarità del singolare passaggio di testimone. Non si è trattato di una rinuncia “dovuta” del primo a una sostituzione “voluta” del secondo, come fu, ad esempio, l’abdicazione di Celestino V per Bonifacio VIII alla fine del Duecento. No, in questo caso si è trattato del meraviglioso affresco di una solidarietà misteriosa, intervenuta dopo l’abbandono liberamente deciso da Benedetto XVI per un disegno imperscrutabile, da parte di un personaggio straordinario, Jorge Mario Bergoglio. Non a caso, Papa Francesco ha confermato, ben oltre la stima soggettiva, la determinazione di continuare il programma avviato con coraggio in questi anni da Ratzinger. Chissà, probabilmente da ciò deriva pure la condivisione della preghiera sullo stesso scranno, l’inginocchiarsi parallelo fianco a fianco, che ha reso tanto emozionante l’incontro tra i due.

Papa Francesco, d’altronde, non è per nulla un continuatore. Non è il risultato di un avvicendamento. E’ un nuovo Papa dotato di una propria sensibilità, di un proprio carisma, di una propria biografia, di una peculiare visione della Chiesa e del mondo. Il paragone tra i nomi, d’altronde, è fin troppo evocativo. Laddove san Benedetto ha rappresentato nel VI secolo il disegno universale di evangelizzazione della Chiesa, san Francesco ne ha reso concreta la possibilità nel XII con la pratica e l’esempio della povertà. Allo stesso modo, attualmente Papa Bergoglio assume in se stesso, nella propria condotta, sia la santità di Giovanni Paolo II e sia la teologia di Benedetto XVI, declinandone il valore all’interno del proprio modo originale, concreto, pastorale, latino americano di personificare il Vangelo.

I paragoni finiscono qui. A margine, appunto, di una condivisione profonda d’intenti e di una partecipazione complessiva all’unico destino della Chiesa, quello che rappresenta la linea originale del nuovo magistero è stata enucleata con chiarezza dal Papa stesso in occasione della Messa d’inizio Pontificato di martedì scorso e nel Discorso di venerdì al corpo diplomatico.

La Chiesa è povertà. E la prova che la cristianità cattolica esiste veramente è quando sa vivere l’insegnamento di Gesù. Un distacco che è antagonista del nostro consumismo occidentale in crisi e alternativa alla retorica materialista dell’egualitarismo totalitario. Papa Francesco rilancia insomma la vera ricchezza spirituale della Chiesa, quella che sant’Agostino definiva “interiore”, vale a dire una libertà ferma e aperta alla solidarietà e alla condivisione dei popoli.

Eccoci posti all’improvviso davanti a noi stessi, alla nostra coscienza e responsabilità. Sono parole di Papa Bergoglio, che invita la Chiesa a “essere ponte tra Dio e il mondo”. Aprire prospettive, creare possibilità, dare speranza significa mai abbandonare la verità sugli scaffali, ma comunicarla e condividerla senza sosta con gli altri.

Parafrasando la metafora famosa del cardinale Ottaviani, è bello pensare che Benedetto XVI sia il “baluardo”, la sentinella dottrinale del nostro tempo, e Papa Francesco la “luce”, ossia chi trasmette e diffonde ai diseredati e ai dimenticati la buona novella. Benedetto XVI è il “basamento” tradizionale della Chiesa e Papa Francesco il “ponte” verso il futuro dell’umanità. Una provocazione eccezionale, su cui meditare, che anticipa di certo i tempi della storia.

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