Strano Paese, l’Italita: per avere un documento molto politico come la Strategia Energetica Nazionale (SEN) si è dovuto attendere un governo tecnico. Ma tant’è. Frutto di alcuni mesi di consultazioni e di qualche revisione in corsa, la SEN è stata trasformata in decreto da Passera e Clini e lasciata in eredità agli esecutivi che verranno.
Molto si è detto e molto si è scritto dei pregi (quello di esistere, soprattutto) e dei limiti (tanti) della SEN. E si è anche rilevato il rapporto complicato tra un documento essenzialmente dirigista come una programmazione governativa e le dinamiche di mercato.
Al netto delle altre critiche, leggendo la SEN non si può però fare a meno di notare il ruolo essenzialmente passivo della dimensione europea.
L’Europa è una serie di obiettivi numerici (17% di rinnovabili, -20% di consumi a parità di PIL, etc.) da rispettare o superare, oppure un riferimento medio di prezzo (tipicamente, parecchio inferiore a quello medio italiano). Nulla di più: se al posto degli obiettivi europei ce ne fossero di globali, o se il riferimento fosse ai prezzi del mercato asiatico, la prospettiva della SEN non cambierebbe.
L’Europa non è nella SEN una prospettiva di azione politica: vincoli, non azioni. Quote, non integrazione delle capacità produttive o dei segmenti di mercato. Ineluttabile dato geografico più che dimensione d’azione per le nostre imprese.
Il paragrafo dedicato ai corridoi energetici, che pure interessano l’Italia se non altro per ragioni geografiche, è poco più di una lista della spesa. Dove si parla poi di integrazione delle reti del gas, il mantra sembra essere quello dell’Italia come hub, ossia dell’idea di aumentare il peso (e le entrate) dell’Italia facendo da punto di passaggio per il gas diretto altro. Ma, al di là, manca una visione d’insieme che sia compiutamente europea.
Certo, il momento storico non è propizio. E in altri settori la prospettiva europea è ancora più lontana. Tuttavia, che ai decisori politici piaccia o no, guardare oltre la crisi attuale significa vedere maggiore integrazione. E le politiche energetiche, con il loro periodo misurato in decenni e la loro valenza politica, rappresentano un banco di prova ineludibile.