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Quando i servizi segreti americani rischiarono di uccidere Ahmadinejad

I servizi segreti statunitensi “rischiarono” di uccidere Mahmoud Ahmadinejad durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel settembre 2006, secondo il mensile The Atlantic, il fascicolo quotidiano di intelligence del presidente George W.

Bush conteneva un’informazione raggelante: tre frasi che terrorizzarono la decine di responsabili della Casa Bianca autorizzati a leggerlo. Secondo un ufficiale, “un agente dei servizi segreti degli Stati Uniti, in un apparente incidente, ha scaricato la sua arma proprio mentre il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad stava partendo con il suo corteo ieri dall’Inter Continental Hotel”.

All’epoca, l’amministrazione Bush stava valutando come affrontare la minaccia rappresentata dal programma nucleare iraniano e un agente dei servizi segreti aveva appena offerto all’Iran un colpo potenzialmente devastante per le pubbliche relazioni.

Ahmadinejad, riflette il mensile, avrebbe certamente rivelato in pompa magna l’accaduto di fronte alla platea dell’Onu. Avrebbe potuto accusare gli Stati Uniti di aver cercato di assassinarlo e capovolgere coì l’intera conferenza. “Quando lessi il dispaccio, ricordo di aver chiuso gli occhi”, ha raccontato il responsabile.

L’agente era intento a sistemare l’arma su uno dei blindati che seguono il corteo mentre la scaricava: “Tutti semplicemente si fermarono. Gli iraniani guardarono noi e noi guardammo gli iraniani. L’agente iniziò a scusarsi. Ahmadinejad semplicemente si voltò e salì in macchina”.
Gli iraniani non menzionarono con nessuno l’episodio. Il loro silenzio portò i collaboratori della Casa Bianca a iniziare a vedere Ahmadinejad in una nuova luce: era la prima prova che gli iraniani probabilmente stavano iniziando ad agire in modo strategico, quindi prudente.



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