L’Italia può riappropriarsi di una politica industriale, a patto che la sua classe dirigente ritorni a parlarne in modo serio e costruttivo.
Questo il primo passo di un percorso tracciato da Fabrizio Onida in un saggio di prossima pubblicazione dell’editore Il Mulino, dove il professore della Bocconi sottolinea l’urgenza di mettere in campo nuove proposte per tirare fuori il meglio dalle energie italiane.
Nato a Milano il 15 marzo 1940, Onida è professore ordinario di Economia internazionale all’Università Bocconi dal 1983 e presidente del Cespri, Centro di ricerca sui processi di innovazione e internazionalizzazione.
LA CENTRALITÀ DELL’INDUSTRIA MANIFATTURIERA
Al di là delle ideologie e dei luoghi comuni, che cosa deve e che cosa non deve essere oggi una vera politica industriale capace di promuovere competitività e sviluppo del sistema produttivo, si domanda Onida?
Andrebbe ristabilita la centralità dell’industria manifatturiera come motore di occupazione qualificata, innovazione, esportazione e crescita internazionale delle imprese.
In Europa essa contribuisce al 19% del PIL (in Germania al 25%, in Italia al 19%), al 35% dell’occupazione, al 75% degli investimenti privati in ricerca e sviluppo, all’80% dell’export.
NUOVI STRUMENTI PER UNA NUOVA STAGIONE
C’è un tema centrale da affrontare per l’economia italiana, secondo il professore milanese, ed è la definizione degli strumenti di una politica industriale moderna e intelligente, che non può esaurirsi nei “tavoli di crisi”.
Soluzioni in molti casi concesse a carico del contribuente senza la fondata speranza che le imprese medesime passino dallo stato di crisi a una fase credibile di crescita competitiva duratura.
RAZIONALIZZARE LA RICERCA: L’ESEMPIO TEDESCO
Innanzi tutto, per Onida, urge in Italia una politica industriale che funga da catalizzatore dei processi di trasferimento tecnologico da Università e centri di ricerca, con tanti punti di eccellenza dispersi a macchia di leopardo, verso un sistema d’imprese a sua volta eterogeneo.
Al di là di lodevoli eccezioni, la cultura scientifica accademica in Italia non è naturalmente portata alla ricerca di rapporti di partnership con le imprese.
Al tempo stesso, la quasi scomparsa di grandi gruppi industriali a capitale italiano con strategie di competizione tecnologica globale, concorre a rallentare l’interesse delle imprese per progetti d’interazione stretta con le istituzioni di ricerca, considerate dalle imprese stesse come troppo lontane dal proprio perimetro realistico di sviluppo dei processi e dei prodotti.
Sarebbe utile per il professore bocconiano fare uno studio ravvicinato dell’esperienza delle 80 Fraunhofer Gesellschaft tedesche, con più di 18.000 addetti, il cui bilancio di 1,9 miliardi di euro è sostenuto solo al 30% da governo federale e Länder, mentre il 70% deriva da contratti di ricerca finanziati dalle imprese e dai fondi europei.
STOP AGLI INCENTIVI INUTILI
Non ci si può limitare a una distribuzione indifferenziata a pioggia di incentivi fiscali per l’acquisto di beni strumentali o per le spese in ricerca e sviluppo.
Sulla scarsa efficacia di tali incentivi vi è qualche evidenza statistica elaborata da vari ricercatori della Banca d’Italia, basata sul metodo “controfattuale”.
Emerge una pressoché totale inefficacia dei contributi a fondo perduto agli investimenti in costruzioni e macchinari, particolarmente nel Mezzogiorno, ed una limitata efficacia dei crediti d’imposta sulle spese di ricerca e sviluppo solo per imprese di minori dimensioni e in particolari circostanze territoriali.
AIUTI ALLE START-UP, FUNZIONANO DAVVERO?
Per il professore bocconiano c’è scarsa evidenza empirica sull’efficacia degli incentivi recentemente rilanciati dal programma “Re‐start Italia.
Il ruolo potenzialmente rilevante dei Fondi di venture capital e Business angels nel promuovere nascita e crescita di piccole imprese molto innovative è in Italia frenato non solo dalla carenza di investitori finanziari con visione lunga e radicata cultura industriale, ma dalla difficoltà di trovare per gli stessi investitori adeguati sbocchi di smobilizzo dopo il periodo iniziale verso imprese di medio‐grandi dimensioni interessate alla particolare nicchia innovativa, nonché dallo scarso spessore del mercato di borsa, che altrove rappresenta il naturale ed efficiente sbocco per accompagnare la crescita dopo la fase di avvio.
INDUSTRIA 2020, UN PROGETTO DA RILANCIARE
In Italia ci dovrebbe essere spazio per rilanciare programmi come la già ribattezzata “Industria 2020”.
Tra le caratteristiche importanti e innovative dovrebbero esserci l’identificazione “bottom up” delle imprese grandi, medie e piccole interessate a co-finanziare attività di ricerca precompetitiva; l’esplicita condizionalità sui risultati attesi per cui il sussidio pubblico (co-finanziamento) è soggetto a clausole di monitoraggio progressivo, valutazioni indipendenti, confronti con benchmarking dal mercato; gestione del programma affidata dai Ministeri competenti (Sviluppo economico e Istruzione, università e ricerca) a un organo indipendente, con garanzie di trasparenza e accountability, composto da membri di comprovata competenza tecnologica e di mercato.
Onida auspica che vi siano, in tempi brevi, iniziative di un nuovo governo in materia.