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Antonio Maccanico e il governo dei ragionevoli

In un periodo storico difficile per le istituzioni italiane, ricordare il valore di persone che hanno servito la causa dello Stato con dedizione, passione ed autorevolezza può essere un esercizio non vano. La scomparsa di Antonio Maccanico è una notizia triste ma consente di ciò che la nostra Repubblica è, sarebbe potuta essere e ancora potrebbe divenire. Entrato alla Camera dei deputati come funzionario nel 1947, Maccanico ha salito tutti i gradini della carriera burocratica divenendo nel 1976 segretario generale di quella Assemblea che vide nascere il governo del compromesso storico. Di lì in poi è stato segretario generale del Quirinale con Pertini e con Cossiga ma anche presidente di Mediobanca succedendo ad Enrico Cuccia. E’ stato parlamentare e ministro (sua la più importante riforma del settore telecomunicazioni). E Maccanico era il nome del governo mai nato che avrebbe dovuto chiudere la transizione italiana. Quell’esecutivo non vide mai la luce e da allora è considerato come una delle grandi occasioni perdute per la politica italiana.

Il giurista campano era un limpido e straordinario servitore dello Stato. Anche quando ha ricoperto incarichi elettivi, ha sempre testimoniato l’interesse generale e rifiutato l’approccio fazioso. Il suo più grande cruccio, negli ultimi anni almeno, era l’estrema frammentazione del tessuto politico ed istituzionale. Era convinto – e come dargli torto? – che scrivere una legge senza poi deliberare i regolamenti attuativi era tempo perso. In questo senso, ricordava spesso l’esempio della riforma del Titolo V della Costituzione varata nel 2001 che “introducendo un sistema di governance multivel” avrebbe richiesto “successivi interventi legislativi da parte di Parlamento e governo” che invece “non se sono più occupati”. Chissà come avrebbe commentato il ritardo che ancora oggi si registra su decreti attuativi e regolamenti di una legge fondamentale come quella della “golden share”.

Per risalire la china, Maccanico sosteneva che “avremmo bisogno di forze politiche adeguate, che non abbiamo”. Questa era – nella sua tesi – conseguenza anche “della mostruosa legge elettorale introdotta nel 2006”. Indicando la sua preferenza in un modello maggioritario, Maccanico aveva chiara l’idea che “tuttavia solo una maturazione complessiva delle forze politiche può aprire la strada ad una riforma elettorale che faccia uscire il sistema politico dalla convulsione passata e dalla paralisi e ci dia una democrazia governante con un minimo di efficienza”.

Parole e concetti non diversi da quelli recentemente espressi da Giorgio Napolitano che infatti aveva con Maccanico aveva un rapporto di stima e discreta consultazione. “Io resto convinto – mi disse in una intervista nel 2010 – che serva mettere insieme le persone ragionevoli dell’una e dell’altra sponda su un progetto per il Paese”. La rielezione di Giorgio Napolitano e la nascita di un nuovo governo ispirato a questo principio è forse il modo migliore per omaggiare la memoria di Antonio Maccanico e la sua vita spesa nelle istituzioni e per le istituzioni.


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