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Boston e la pista del “lupo solitario”. Parla Margelletti

Le bombe di Boston? Non si sottovaluti la pista del cosiddetto “lupo solitario”, invita a riflettere Andrea Margelletti, analista e presidente del Centro Studi Internazionali. Margelletti, esperto di sicurezza, accanto alle altre due strade investigative del terrorismo di matrice religiosa e dell’estrema destra americana, ragiona sull’uomo solo spinto ad ottenere il maggior danno possibile.

Matrice qaedista o incubi interni, come l’anniversario della strage di Oklahoma City del 1995?

“In assenza di qualunque dato empirico è impossibile trarre delle conclusioni. Dato che in molti oggi facevano riferimento alle due piste, quella interna e quella islamica, non sottovaluterei invece quella del matto. Di cui tra l’altro in Italia abbiamo già avuto esperienza, con l’attentato alla caserma di Milano da parte di un libico nel 2009. Quindi a fianco delle due grandi ipotesi, un attentato progettato e condotto da un’organizzazione terroristica di matrice religiosa, o dall’estrema destra americana, vi è quella che in gergo è chiamata del lupo solitario. Ovvero una persona che vive il proprio delirio attraverso la rete e si autoconvince di essere parte di un progetto più grande e più importante. E a quel punto fa qualcosa per sentirsi parte di quel contesto”.

Un giovane saudita, secondo Fox News, sarebbe stato piantonato e interrogato in ospedale.

“Lo hanno detto i responsabili delle indagini in conferenza stampa: non si sa ancora nulla. Si era parlato anche di altre bombe ritrovate e invece non è stato rinvenuto nient’altro se non i due ordigni. Come è naturale in questi casi, c’è anche molta confusione dettata dall’eccezionalità dell’evento”.

I pezzi di metallo nelle bombe cosa significano?

“Che si voleva fare molto male a molta gente, lo fanno tutti. Nel momento in cui si decide di ammazzare delle persone, si cerca di rendere lo strumento in uso il più letale possibile, quindi con pezzi di vetro, metallo, chiodi”.

Come pesare la concomitanza con un evento sportivo?

“Il desiderio di fare più male possibile e più paura possibile. Dovremmo entrare nell’ordine di idee che siamo di fronte a gente che si è alzata al mattino per portare a casa come risultato il terrore, il dolore, l’insicurezza. Se fosse stata una festa di Natale anziché una maratona, nella loro ottica sarebbe stato tanto meglio. A chi rileva che c’è stata una bomba esplosa prima e una esplosa dopo, come accaduto in Afghanistan, rispondo che i primi a comportarsi così sono stati gli esponenti dell’Ira negli anni Sessanta. Addirittura quelle bombe esplodevano anche ore dopo, così da colpire i soccorsi. La storia ha un respiro un pochino più lungo rispetto ai fatti dell’Afghanistan”.

Fuori strada quindi chi guarda alla Corea?

“Sì. Se dovesse accadere rimarrei molto stupito. Tra l’altro non hanno proprio tradizione in questo senso. In più quella è la minaccia di uno Stato, che si muove come tale. Chi ha commesso l’attentato ha lasciato inevitabilmente delle tracce, potranno non essere sufficienti a sostenere una prova in tribunale ma non è detto che l’autore non possa essere individuato. E punito”.

Il Presidente Napolitano ha scritto a Obama, mentre in Italia sono state innalzate le misure di sicurezza: un atto dovuto o vede rischi concreti?

“Innanzitutto osservo che la nostra sicurezza ormai è costante dall’11 settembre in poi. Non è qualcosa da utilizzare come un elastico, l’attività di prevenzione è sempre a livelli massimi. Non mi risulta che nel nostro Paese in questo momento ci siano particolari allarmi. Esistono realtà di grande interesse ma gli investigatori e l’intelligence ne sono consapevoli”.

Il passaggio di consegne da Hillary Clinton a John Kerry come ha mutato i contorni della segreteria di Stato americana?

“Innanzitutto osservo che è stato un passaggio molto importante, perché la Clinton aveva una sua grande e pesante autorevolezza, ma era contestualmente l’avversario politico di Obama: caso praticamente unico. Normalmente il capo della Casa Bianca sceglie come Segretario di Stato, ovvero colui che trasforma in azioni internazionali l’idea del presidente, un suo uomo. Non ricordo a memoria un caso contrario, ovvero colui che da avversario diretto ne sia diventato il principale collaboratore. Credo che Kerry sia più in linea con Obama, gli anni che vedremo saranno quelli in cui ci sarà la politica estera più marcatamente vincolata ai lacciuoli del Partito democratico”.

twitter@FDepalo

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