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Chi ha armato la mano di Luigi Preiti

Non ci consola proprio sapere che l’attentato di oggi davanti a Palazzo Chigi non sia opera di un commando che porta l’attacco al cuore dello Stato, ma l’atto di una singola persona, Luigi Preiti, esasperato a causa di problemi economici (era disoccupato o era rimasto vittima del gioco d’azzardo? Oppure si dirà che si era dato al gioco proprio perché non aveva lavoro?) che ne avevano provocato la separazione dalla moglie.

Resta da domandarsi perché una persona in difficoltà (ma pienamente padrone di se stesso come ha dichiarato il fratello) sia salito in auto da Rosarno in Calabria il giorno precedente il giuramento del nuovo governo, si sia recato in Piazza Colonna e abbia cominciato a sparare all’impazzata sui Carabinieri che svolgevano il loro lavoro. Di risposte ce ne possono essere tante. Non le sapremo mai tutte. Una però era sicuramente presente nell’animo di Preiti.

Quella piazza per lui era il simbolo di quella politica malsana, che – come gli stanno spiegando da anni – è all’origine di tutti i suoi problemi. Quando ogni guaio del Paese viene scaricato su un gruppo di persone che per il loro ruolo sono state identificate nella cosiddetta Casta, quando addirittura nascono e hanno seguito movimenti politici che fanno della lotta alle istituzioni democratiche il loro principale obiettivo, può essere forte la tentazione di passare alla fase della giustizia sommaria.

Del resto, che i pericoli esistano veniva segnalato anche da un documento ufficiale: la Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza per il 2012, a cura del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica. In parole povere i Servizi – ne abbiamo già parlato in un articolo precedente – mettevano in bella evidenza che “si prospetta il rischio di una intensificazione delle contestazioni nei confronti di esponenti del governo e personalità di rilievo istituzionale, nonché rappresentanti di partiti politici e sindacati considerati non sufficientemente impegnati nella difesa dei bisogni emergenti”.

Ma da dove nasce un odio che semplifica la realtà, un odio che a volte sembra agire come un balsamo contro la disperazione di quanti hanno smarrito la sicurezza nel futuro? Parafrasando Gaetano Salvemini potremmo dire che le pallottole sparate da Preiti sono state fuse con il medesimo piombo (ammesso che esistano ancora le gloriose linotype) con cui sono stati, per anni, scritti articoli e libri all’insegna dell’antipolitica, sparando nel mucchio come se tutti i problemi dipendessero dalle sanguisughe che, facendo politica, vivono inutilmente alle spalle degli italiani.

Chi ha seguito i talk show che facevano audience mettendo alla gogna quei parlamentari disposti a prendersi torte in faccia pur di apparire sugli schermi televisivi, chi ha letto gli articoli o i libri di autorevoli commentatori che, svillaneggiando la Casta hanno incassato centinaia di migliaia di euro, non può non aver subito, nel suo ambito, il fascino consolatorio di quel clima di odio che aizza tutti contro tutti. E che dire della Corte dei Conti, inutile organismo di giustizia contabile, che si è inventata – senza un minimo di riscontri di fatto – un “costo” della corruzione di importo pari a 60 miliardi di euro? Tanto da aver dato modo a tutti gli imbecilli, arrivati in Parlamento con la piena, di indicare quella cifra quale copertura dei loro sogni di gloria.

In questo Paese non è mai mancata la dietrologia. Dopo i delitti e le stragi che hanno insanguinato l’Italia, anche quando si sono trovati e condannati gli esecutori materiali, si è sempre detto che era necessario scovare i mandanti.

Oggi, almeno, sappiamo chi ha armato – indirettamente – la mano di Luigi Preiti detto Gino.



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